IL BLOG DI SERGIO VIVI



venerdì 10 dicembre 2010

Il dilemma del prigioniero



Titola l’Espresso:
«LA RESA DEI CONTI TRA BERLUSCONI E FINI E’ ALL’ATTO FINALE.
CHI PERDE RISCHIA DI USCIRE DI SCENA».


Fin qui, si può essere d’accordo;
ma FUORI UNO non è l’unica soluzione.
Le persone avvedute conoscono il «dilemma del prigioniero» e sanno che la soluzione migliore è sempre quella collaborativa: se sono intelligenti, pragmatiche e navigate l’applicano senza remore.


mercoledì 8 dicembre 2010

Lo Switch Off Televisivo e la Burocrazia

Non so se disperarmi od essere contento. Non riesco più a vedere la Rai. Domenica pomeriggio, mentre ero appisolato sulla poltrona (l’Annunziata stava intervistando il ministro Frattini), sono stato svegliato dal crepitio proveniente dallo schermo televisivo: l’immagine aveva cominciato a frastagliarsi per, poi, scomparire del tutto.
Evidentemente la Rai aveva spento l’ultimo canale che avevamo ancora in lista, per questo occorrerà sistemare qualcosa nella centralina digitale del condominio.
Purtroppo i tecnici non hanno tempo e tutti i condomini sono precipitati, chi più chi meno, nella più cupa costernazione.

Bisognava fare qualcosa, hanno detto in casa. La centralina del palazzo è alimentata dalla luce delle scale: se questa si guasta non si vede più la TV. Mi sono ricordato che in passato, quando questo accadeva, attorcigliavo un filo di rame al rebbio di una forchetta, infilavo l’altro estremo nella presa d’antenna TV e qualcosa riuscivo a vedere e sentire. Perché, allora, non provare a costruire un’antenna rudimentale?

E’ stato più facile di quanto io pensassi. Anche perché, come si dice adesso, trovi sempre un cinesino, piccolo a piacere, che ti risolve il problema.
Senza bisogno d’alcun filo, ho recuperato la piccola antenna [Hi-Gain, made in Taiwan] che corredava la chiavetta digitale terrestre [24,90 euro da Mondadori in Via D’Azeglio] con la quale quest’estate, al mare, guardavo la TV sul portatile.
È bastato un po’ di nastro adesivo a banda larga (nel senso che è largo 38 mm) per fissarne la base sulla sommità del televisore, ed è bastato infilare il cavo dell’antenna nel decoder al posto di quella centralizzata.
Ho acceso TV e decoder, ho fatto partire l’aggiornamento canali, ho agganciato probabilmente il segnale a 498 MHz proveniente dal colle di Barbiano ed ho scaricato una decina di canali tra cui Rai 1, Rai 2 e Rai 3.
Naturalmente la “sintonizzazione fine” è manuale: per orientare in modo ottimale l’antenna occorre ruotare leggermente o spostare avanti e indietro di qualche centimetro il carrello porta TV, che per fortuna ha le ruote.
In poche parole, per quanto riguarda la Rai, ho trasformato il mio impianto da centralizzato a singolo, usando per di più un’antenna da interni.
Non contento, volendo vedere anche gli altri canali senza continuamente scambiare le due antenne, ho preso un connettore d’antenna a T: al decoder ho connesso il maschio, alle femmine l’antenna centralizzata e quella singola, mescolando le frequenze provenienti dalle due antenne. Ha funzionato ed ho così potuto ottenere una lista canali quasi completa.





* * * * * *
Si può trarre qualche insegnamento da questo piccolo episodio?
Ma sì, buttiamola in politica.
Il mio condominio ha montato la centralina per il digitale terrestre circa un anno e mezzo fa.
Questa primavera un condomino, in vista dello switch off, ha chiesto all’amministratore di mandare un tecnico per vedere se c’era necessità di qualche aggiornamento. L’amministratore, che si avvale della collaborazione di ditte diverse, invece di mandare Tizio che aveva montato la prima centralina, ha mandato Caio. Questi ha iniziato a criticare il lavoro di Tizio (i componenti montati sarebbero delle Cinquecento al confronto delle Ferrari che monta lui) e ci ha spiegato che se si fosse dovuto intervenire sulle tre parti dell’impianto (le antenne, la centralina e i cavi di distribuzione dalla centralina agli appartamenti) non ce la saremmo cavati con meno di 5.000 euro circa (contro i 25 euro della mia chiavetta). Naturalmente non se n’è fatto niente.

I regolamenti comunali impongono ai condominî di centralizzare gli impianti privilegiando l’aspetto estetico sull’AUTONOMIA delle persone.
È una delle innumerevoli imposizioni della BUROCRAZIA.
La burocrazia che spinge a “centralizzare” ogni aspetto della vita (da quelli più banali, come il Telecalore, a quelli di maggior peso come il Servizio sanitario nazionale).
La burocrazia che imperversa in tutte le risoluzioni e le norme emanate dalla Comunità europea.
La burocrazia che è figlia prediletta della Socialdemocrazia, in tutte le sue forme, da quelle estreme (socialismo reale in URSS) a quelle più moderate (Ulivo, Nuovo Ulivo in Italia) ed ai tentativi di compromesso con la ricerca di Terze vie (Ulivo mondiale di Clinton, Blair, Prodi e Veltroni, attuale Partito Democratico, eventuale Terzo polo).

Ha scritto Ralf Dahrendorf nella prefazione al suo «Il conflitto sociale nella modernità»:
«Accresciute chances di vita umana non si possono trovare in una “terza via”, che rappresenti in qualche maniera una sintesi tra le grandi forze della storia. L’incontro di compromesso a mezza strada è altrettanto rischioso per la libertà quanto il dogmatismo degli estremi. Se quest’ultimo infatti significa autocrazia, il primo conduce alla burocrazia, e sia l’uno che l’altro sono informati dall’identica idea sbagliata che ci sia una sola risposta valida ai problemi».

La futile vicenda narrata ha dimostrato che ci poteva essere una soluzione diversa da quell’unica ricorrente, consistente nel credere che soltanto un tecnico specializzato potesse risolvere il problema. A volte basta una comune forchetta. Parimenti, il comportamento di Caio, ha dimostrato che i “sistemi centralizzati” sono l’ambito delle più detestabili speculazioni, da parte di gente senza scrupoli. L’esempio più lampante è il Sistema sanitario nazionale, dove imperversano truffe d’ogni genere, e dove la gestione politica burocratica costa molto di più delle prestazioni erogate in tempi biblici.


giovedì 25 novembre 2010

La situazione politica - 2



Casini, Rutelli, Montezemolo e il Terzo pol[l]o

In un post precedente ho pronosticato che la crisi attualmente in corso possa concludersi con un governo Berlusconi Bis. Sono passati 17 giorni e ne mancano 19 al fatidico 14 dicembre, quando il governo sarà sottoposto alla doccia scozzese della fiducia e della sfiducia. E’ ora di fare il punto.

Fino a qualche giorno fa, l’opinione ricorrente era che né Berlusconi, né Fini avrebbero potuto fare un passo indietro senza perdere la faccia. Si possono fare, però, anche dei mezzi passi. Fini, con il video messaggio sul sito di Generazione Italia, l’ha fatto, sorprendendo un po’ tutti, Bersani e Casini in particolare che hanno visto: il primo svanire la maggioranza per sfiduciare Berlusconi, il secondo allontanarsi un alleato dato già per acquisito.

Dopo la pars destruens Fini ha iniziato la pars costruens (sembra paradossale, ma è così). In un primo tempo è riuscito a “farsi espellere” dal Pdl, nei giorni scorsi ha ritirato i suoi uomini dal governo. Sta mettendo sotto il governo su provvedimenti particolari. Nei prossimi giorni disporrà che i suoi uomini escano dall’aula in caso di votazione di mozioni di sfiducia presentate dall’opposizione, ma è impensabile che possa uscire dal centrodestra.
Non porrà e non voterà nessuna mozione di sfiducia al governo, se non per permettere al Premier –previo accordi- di salire al Quirinale per dare le dimissioni e riottenere l’incarico per la formazione di un Berlusconi Bis.

Fini non ha certamente corso il rischio di farsi distruggere politicamente per seguire una nuova “gioiosa macchina da guerra” comprendente Casini e Rutelli, eventualmente capitanata da un uomo dall’indubbio nome del condottiero medievale. Sarebbe il ritorno della “balena bianca”. Sarebbe dar vita, come abbiamo già visto ad un assetto del tipo Terzo incluso, al massimo di un Terzo includente o Terza via che dir si voglia. Al contrario, il suo disegno strategico è di rimanere agganciato ad uno schema bipartitico del tipo Terzo escluso.

Considerato inaffidabile da molti per il suo passato, che sia sincero o no, che ci riesca o no, Fini pensa di rifondare la Destra rendendola “più liberale, più laica, più europea”. Ha ottenuto l’appoggio di una piccola ma significativa parte del mondo liberale, la fondazione “Libertiamo” di Benedetto Della Vedova, i cui aderenti auspicano che Fini trovi il coraggio di ribadire le distinzioni tra stato etico e stato laico.
Solo perseguendo lo scopo di essere riconosciuto come terza gamba del centrodestra, Fini riuscirà, un domani, ad “ereditare” gli elettori del centrodestra, aspettando magari che la parabola di Berlusconi si concluda naturalmente.

Aderire al terzo polo (opzione di seconda scelta) costituirebbe per lui una sconfitta. E segnerebbe la fine d’ogni speranza che anche in Italia si possa avere una destra moderna ed europea.

Il Cavaliere, da parte sua, dovrà valutare se correre il rischio delle elezioni o fare anche lui un mezzo passo indietro che, nel caso, giustificherà come atto d’estrema responsabilità, di fronte allo scenario del fallimento del Paese, dell’abolizione dell’euro e della dissoluzione dell’Unione Europea.

[P.S. – Beninteso, questo è soltanto un pronostico]


martedì 23 novembre 2010

Destra, Sinistra e Centro

Il discusso programma televisivo “Vieni via con me” di Fazio e Saviano almeno un merito l’ha: quello di avere riportato all’ordine del giorno due categorie della politica, su cui sono stati scritti montagne di libri, tra i quali “Destra e Sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica” di Norberto Bobbio.

Nel capitolo I della sua analisi, il professore torinese spiega come si possano avere almeno tre visioni diverse della linea continua sulla quale viene rappresentato lo spettro politico.

Se «lo spazio politico viene concepito diviso in due sole parti, di cui l’una esclude l’altra, e nulla tra loro s’interpone», questa «visione diadica o assiale della politica può essere definita del TERZO ESCLUSO».

Se tra i due estremi Destra e Sinistra «si collocano posizioni intermedie che occupano lo spazio centrale fra i due estremi, e che viene chiamato, ed è ben conosciuto, col nome di CENTRO…che non è né di destra né di sinistra, ma sta in mezzo all’una e all’altra», questa visione triadica si può definire del TERZO INCLUSO.
«In molti sistemi democratici a pluralismo accentuato il Terzo incluso tende a diventare tanto esorbitante da occupare la parte più estesa del sistema politico, relegando la destra e la sinistra ai margini».

Infine, si può dare il caso di un TERZO INCLUDENTE che «tende ad andare al di là dei due opposti inglobandoli in una sintesi superiore, e quindi annullandoli in quanto tali … Nel dibattito politico, il Terzo includente si presenta di solito come un tentativo di TERZA VIA, cioè di una posizione che diversamente da quella del centro non sta in mezzo alla destra e alla sinistra, ma pretende di andare al di là della destra e della sinistra».
L’ideale del socialismo liberale o del liberal-socialismo è una tipica espressione di un pensiero terzo-includente.

* * * * * *
Della coppia destra e sinistra si può fare un USO DESCRITTIVO per rappresentare sinteticamente due parti in conflitto. Un USO VALUTATIVO per esprimere un giudizio di valore positivo o negativo. Un USO STORICO per segnare il passaggio da una fase all’altra della vita politica di una nazione.

Secondo l’uso storico (ma anche descrittivo) si può affermare che, durante la prima repubblica, il campo è stato tenuto da un Terzo incluso, la Democrazia cristiana ed i suoi alleati, che relegava ai margini la Sinistra, cioè il Partito Comunista Italiano, e la Destra, cioè il Movimento Sociale Italiano.

Immediatamente prima delle elezioni del 2008, con il discorso del Lingotto di Veltroni (la vocazione maggioritaria) e col discorso del “predellino” di Berlusconi (fondazione del Pdl), si è cercato, anche tramite l’aiuto della vigente legge elettorale, di forzare la mano per passare dal bipolarismo al bipartitismo, nel tentativo di passare ad un assetto politico del tipo Terzo escluso.

Attualmente si fa un gran parlare del terzo polo. UDC di Casini, API di Rutelli, FLI di Fini, MPA di Lombardo, d’accordo con altri pezzi di establishment politico-economico, dovrebbero dar vita ad un Patto per la Nazione, o di Solidarietà nazionale.
Come fece Blair in Gran Bretagna, Rutelli si sarebbe spostato da sinistra (e Fini da destra) per congiungersi al centro con Casini, con l’obiettivo ambizioso di dar vita ad un assetto del tipo Terzo includente, e ridurre agli estremi sia la destra sia la sinistra residuali. Una Terza via insomma. Ma c’è di mezzo il porcellum che, anche se nei sondaggi ormai la somma del PD+Pdl si è ridotta dal 70% del 2008 all’attuale 50%, nessuno sarà in grado di cambiare. Per il Terzo includente (o incluso) sarebbe necessaria una legge elettorale di tipo proporzionale.

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Sulle suddette distinzioni ad uso storico-descrittivo sono quasi tutti d’accordo.
Diverso è il discorso quando si passa all’uso valutativo.

Osserviamo che sono soprattutto coloro che si definiscono di sinistra a cercare di definire nel miglior modo possibile cosa sia la sinistra, ma anche a fare convegni intitolati «Per una definizione della destra reazionaria». A destra sono meno sofisticati: «Piaccia o non piaccia, nessun uomo è uguale a un altro e, quel che è peggio, o meglio, dipende dai punti di vista, è che nessuno vuol esserlo».

L’interpretazione più condivisa, in particolare da Bobbio, consisterebbe nel diverso atteggiamento mostrato nei confronti dell’idea d’eguaglianza.
«Coloro che si dichiarano di sinistra danno maggiore importanza, nella loro condotta morale e nella loro iniziativa politica, a ciò che rende gli uomini eguali, o ai modi di attenuare e ridurre i fattori della disuguaglianza; mentre coloro che si proclamano di destra sono convinti che le disuguaglianze siano un dato ineliminabile, e che in fin dei conti non se ne debba neanche auspicare la soppressione».

Secondo un’altra formula, invece d’Eguaglianza e Disuguaglianza, si prende in considerazione la coppia Emancipazione e Tradizione. L’uomo di sinistra mira a liberare i propri simili dalle catene loro imposte dai privilegi di razza, di ceto, di classe, ecc. L’uomo di destra ha come motto: «Nulla fuori e contro la tradizione, tutto nella e per la tradizione».

Concludendo, è meglio la Destra, oppure la Sinistra? La sinistra è a sinistra? Hanno ancora un senso, in politica, queste due categorie, oppure sono due scatole vuote?

Nella trasmissione di Fazio, Fini e Bersani hanno provato a riempirle di contenuti. Non si sono accorti, però, che le loro parole scivolavano via perché la scatola della sinistra, quella della destra (ed anche quella del centro) erano già stracolme delle cambiali del debito pubblico, firmate dai politici di sinistra, di destra (e di centro), ancora tutte da pagare.


mercoledì 17 novembre 2010

Arsenico e vecchi merletti



  
C’è qualcosa di surreale e d’insolito nelle primarie del PD. Il partito ha adottato, per statuto, lo strumento delle primarie e ne va orgoglioso; se il risultato, però, è diverso da quello “desiderato”, mezza direzione si dimette.
E’ capitato in questi giorni a Milano, dove ha vinto l’avvocato Giuliano Pisapia, invece dell’architetto Stefano Boeri, appoggiato dal PD: a differenza degli Abbracci (che sono una bontà di biscottini) l’abbraccio del partito sempre più spesso si rivela mortale.

La faccenda, purtroppo, è complicata dal fatto che in Italia non abbiamo il BIPARTITISMO come negli Stati Uniti, ma un BIPOLARISMO pasticciato formato da COALIZIONI di partiti con programmi diversi. Finisce che le nostre sono PRIMARIE DI COALIZIONE, con la partecipazione di candidati dei diversi partiti e d’altri detti “civici”.
La faccenda è ulteriormente complicata dalla presenza di candidati provvisti di CARISMA, come dimostrò il risultato di Nichi Vendola in occasione delle regionali pugliesi.

Che cosa possono contrapporre i candidati normali al “carisma? Di solito, è loro richiesto di presentare il PROGETTO PER LA CITTA’. Una città ha dei problemi che richiedono, in genere, poche soluzioni (possibilmente attuabili). Invece otto candidati diversi, otto “progetti” diversi di cui la gente fa fatica a cogliere le differenze, mentre il carisma è colto al volo.
Nei “progetti per la città” si può trovare di tutto. In quello di Flavio Delbono, ad esempio, era illustrato il proposito di riportare alla luce il canale di Reno nel centro della città: vinse anche per questo.
I segretari di partito possono cambiare ma, se c’è un leader, questo rimane a vita. Un esempio è certamente Marco Pannella.
Col carisma, purtroppo, non si risolvono mai i problemi: vedi ad esempio Obama. Eugenio Scalfari l’ha scritto chiaramente: «Vendola ci porti alla vittoria, poi governi Bersani».

* * * * * *
Il dilemma delle primarie per il PD si sta riproponendo oggi a Bologna.
Dopo il ritiro, per problemi di salute, di Maurizio Cevenini che, con pazienza e determinazione, si era costruito, negli anni, un suo “carisma”, e che teneva unito tutto il partito, si sta discutendo, proprio in questi giorni, come arrivare ad una candidatura unitaria.
Hanno già raccolto le firme ed il diritto di presentarsi alle primarie due “civici”: Benedetto Zacchiroli ed Amelia Frascaroli. Il primo non preoccupa il PD perché già invischiato nella gestione Cofferati. La seconda, già attiva nell’associazionismo cattolico di sinistra e sostenuta da SEL, un po’ di più.
Gli esponenti PD sono convinti che il caso di Bologna sia diverso da quello di Milano, e che un esito analogo non possa verificarsi qui da noi.
In verità è peggio, perché la “cattolica rossa” è sostenuta, oltre che da SEL, anche dalla fetta prodiana del PD e da un pezzo della Cgil. Oggi, la signora Amelia ha rifiutato l’abbraccio di SEL («non sono vendoliana», ha detto) anche se non disdegna di farsi “incoronare” il 25 novembre a Bologna dal Governatore della Puglia, che le trasferirà parte del suo carisma (chi lo ha, è anche in grado di trasferirlo ad altri).

Probabilmente, il solo modo di esorcizzare il pericolo per il PD sarebbe di non presentare un candidato unico, ma di presentarne almeno dieci, di tutte le correnti del partito, e di non appoggiarne nessuno. Infatti, nel caso dell’”unico” si rischierebbe che molti simpatizzanti delle correnti escluse potrebbero votare, per ripicca, per l’Amelia mentre, nel caso dei “molti” gli elettori troverebbero senz’altro un nome a loro gradito ed, in mezzo a tanti, la signora apparirebbe di meno.
Sembra, però, che questa tattica non si possa perseguire a causa delle regole bizantine sulla raccolta delle firme, necessarie per candidarsi, con cui il PD ha imbrigliato la libera scelta degli elettori.

Nel frattempo, mentre hanno luogo le franche ma pacate discussioni all’interno dell’assemblea del PD, nel tentativo di arrivare ad una candidatura unica, la signora Amelia sfrutta il tempo ricevendo amici e simpatizzanti a casa sua, il pomeriggio, offrendo loro tea e torte fatte con le sue mani. Questo modo di fare e le poche foto della signora Frascaroli apparse sui giornali fanno venire in mente il film “Arsenico e vecchi merletti”. I candidati del PD faranno bene a rimandare ad altro momento l’eventuale invito della signora Amelia, perchè potrebbe aiutarli ad abbandonare la competizione, con un sorriso sulle labbra, offrendo loro un te corretto con un miscuglio di carisma.


lunedì 8 novembre 2010

La situazione politica

Fini ieri ha parlato ed ha chiesto le dimissioni di Berlusconi.
Adesso cosa può succedere?
E’ inutile stare a leggere gli scenari descritti dai commentatori politici. Stiamo ai fatti.
Berlusconi è sotto scacco per via di un paio di processi in cui è imputato. Ha bisogno di un “lodo” che può ottenere soltanto con l’aiuto di Fini. Metterà da parte, da uomo pratico qual è, i rancori personali.
Fini, da parte sua, non ha interesse ad andare subito ad elezioni e, per questa ragione, ad appoggiare un cosiddetto governo tecnico (che, tra l’altro, non riuscirebbe ad accordarsi neppure per varare una nuova legge elettorale) e che porterebbe poco dopo alle urne.
Non presenterà nessuna mozione di sfiducia, né voterà quelle eventuali presentate dall’opposizione.
Sia che voglia diventare veramente il leader di una nuova destra, moderna, liberale, europea; sia che voglia limitarsi a creare un partito del sud, come molti commentatori sostengono; Fini non vuole di certo buttare via il bambino (cioè gli elettori del Pdl - che prima o poi pensa di adottare) con l’acqua sporca.
Per il momento potrebbe accontentarsi di un governo Berlusconi Quinto, con tanti ministri Fli quanti quelli della Lega e, magari, con un diverso ministro dell’economia.
Poi, alle elezioni del 2013, potrebbe presentarsi coalizzato con Pdl e Lega Nord sfoggiando anche lui il simbolo col proprio nome come fecero Berlusconi e Bossi nel 2008.
Per quanto riguarda il centrosinistra, poiché probabilmente si voterà con l’attuale legge elettorale, il Pd potrebbe rischiare d’essere “rottamato” definitamene assieme ai suoi attuali “rottamatori”.
Qui sotto, come potrebbe essere la scheda per la camera nel 2013.


lunedì 11 ottobre 2010

I costi della sanità

Nel post precedente, allo scopo di abbattere il debito pubblico, abbiamo ipotizzato una riforma radicale del sistema sanitario nazionale (SSN) e proposto l’introduzione di un’assicurazione sanitaria obbligatoria. Vale la pena vedere quale dovrebbe essere il prezzo di una tale assicurazione. Lo faremo utilizzando i dati dell’anno 2008, che paiono i più completi e disponibili.

I COSTI DELLA SANITA’
Dal sito del
Ministero della Salute ricaviamo le seguenti tre tabelle che ci danno, rispettivamente, il totale della spesa sanitaria, la spesa suddivisa per regioni e pro-capite, e le fonti di finanziamento.

SPESA SANITARIA E PIL
Da un
precedente post, che ne contiene le fonti, ricaviamo i seguenti dati, sempre concernenti il 2008:

PIL - prodotto interno lordo dell’Italia = 2.293.008 millions of USA dollars (World Bank)
Valore medio del cambio nel 2008 : 1 euro = 1,47076 USA dollars
PIL – prodotto interno lordo dell’Italia = 1.559.063 milioni di euro
Debito pubblico italiano = 1.663.637 Milioni di euro = 106,7% del PIL (Il Sole 24 ORE)

Nel 2008
la spesa sanitaria di 106.650 milioni di euro è stata pari al 6,84% del PIL.
L’obiettivo della riforma è di diminuire la spesa pubblica del 5% del PIL e di utilizzare il rimanente 1,84% per provvedere –tramite i comuni che, col federalismo, disporranno anche dell’imposizione autonoma delle tasse- ai malati cronici, agli anziani indigenti, alle fasce di reddito più basse ed agli stranieri irregolari.

Allo scopo, poi, di potenziare le prestazioni del servizio sanitario (dimezzamento delle liste e del tempo d’attesa, riduzione dei casi di malasanità), si può pensare di raddoppiare il personale. Per farlo, nel 2008, avremmo speso ulteriori 35.177 milioni di euro in più.
Per una spesa totale di 106.650 + 35.177 = 141.827 milioni di euro, pari al 9,1% del PIL.

CALCOLO DEL PREMIO ASSICURATIVO
Dal sito
lavoce.info, ricaviamo la seguente tabella che riporta, tra gli altri, il numero totale dei contribuenti Irpef, che sono coloro che devono assicurarsi.

Supposti i costi di gestione ed i compensi delle società assicuratrici dell’ordine dell’attuale spesa di funzionamento delle Asl, tenuto conto del numero del numero di contribuenti Irpef, il premio dell’assicurazione sanitaria risulterebbe di:

141.827 milioni di euro DIVISO 40.760.593 = 3.479,51 euro annui, pari a 290 euro mensili.

SOSTENIBILITA’ DEL PREMIO
E’ troppo?
Sappiamo che esistono delle assicurazioni sanitarie integrative d’alcune categorie di lavoratori dipendenti -che in genere non danno una copertura totale- per le quali si pagano premi minori (ad esempio, per il Fasi dei dirigenti d’azienda, che copre anche il coniuge ed i figli minorenni, il contributo complessivo -a carico dell’assicurato e dell’azienda- è di 2.376 euro per il 2010). Certamente, nella spesa totale del SSN sono inclusi i costi degli sprechi e delle molteplici truffe perpetrate ai suoi danni. I 3.479 euro calcolati rappresentano, pertanto, un massimo suscettibile di diminuzione una volta entrata in campo la concorrenza (minima, d’accordo) tra privati e una volta ridotti gli sprechi ed impedite le truffe (è molto più difficile truffare un’assicurazione privata piuttosto che un’Asl pubblica).

Restiamo, in ogni modo, fermi ai 3.479 euro annui.
Buona parte della gente paga già l’assicurazione per l’automobile (magari due per famiglia) ed il carburante (spese per altro necessarie ed insopprimibili), ma anche
l’abbonamento RAI, 109 euro/anno,
l’abbonamento Sky, 348 euro/anno,
l’abbonamento per la connessione internet, circa 250 euro/anno,
l’acquisto e le ricariche del telefonino (magari tre per famiglia),
le sigarette, il superenalotto, il cinema ed i concerti rock, la pizza o il ristorante, i capi griffati, i corsi di danza o di nuoto per i figli, la settimana bianca, le vacanze estive … altro che 3.479 euro.
Questa gente può essere situata nella fascia di contribuenti sopra i 20.000.000 euro annui di reddito dichiarato.

290 euro mensili sono, invece, senz’altro troppo per chi dichiara un reddito di sotto ai 15.000.000 euro. Mentre tra i 15.000 ed i 20.000 possono essere un problema. Anche se il fisco non si preoccupa di fare pagare a questi contribuenti aliquote irpef del 23% e del 27%.

* * * * * *
Dato che c’interessano degli ordini di grandezza, consideriamo valida anche per il 2008 la tabella 1 di lavoce.info, dalla quale ricaviamo il
N° di contribuenti con reddito da 0 a 15.000.000 euro = 20.306.020 pari al 49,8%.

Per vedere quanti sono, con buona approssimazione, i contribuenti sopra i 20.000 euro di reddito, facciamo ricorso ad un sito che calcola la posizione di un dato reddito in una teorica classifica generale.

Come si vede, i contribuenti con reddito maggiore di 20.000 euro sono dell’ordine del 33,18%, vale a dire 40.760.593 x 33,18% = 13.524.364.
Per differenza, il numero di contribuenti con reddito tra 15.000 e 20.000 euro sono
40.760.593 – 13.524.364 – 20.306.020 = 6.930.209 pari a circa il 17,02%.

* * * * * *
Il premio dell’assicurazione, variabile -una volta a regime- secondo la località e la compagnia assicuratrice, oscillerà inizialmente intorno a 3.479,51 e sarà pagato da tutti.
In sede di dichiarazione irpef, chi dichiara oltre 20.000 euro porterà in detrazione (come già previsto per i contributi sanitari) il 19% (finendo per pagare circa 235 euro il mese); chi dichiara tra 15.000 e 20.000 euro porterà in detrazione il 48% (e pagherà 151 euro il mese); chi dichiara tra 0 e 15.000 euro porterà in detrazione il 98% del premio (e pagherà meno di 6 euro il mese).

Nella tabella 2 il riepilogo

Salvo errori.

CONSIDERAZIONI FINALI
Lo schema esposto presenta due punti negativi.
Il più grave risponde alla domanda: come fanno il 50% dei contribuenti sotto i 15.000 euro di reddito, ad anticipare, il primo anno, i 3.479 euro dell’assicurazione?
Questo problema si risolve solamente chiedendo un prestito alle banche, a tasso agevolato, da restituire a piccole rate negli anni successivi. Dal secondo anno in poi, si utilizzerebbero invece i rimborsi ottenuti con la dichiarazione del 730.

Il secondo punto negativo potrebbe sembrare il fatto che il fisco incasserebbe, a causa delle detrazioni, circa 90.000 milioni di euro in meno. Questo, però, è il destino del fisco, che incassa di meno se i redditi dei cittadini diminuiscono, sia perché guadagnano di meno, sia perché perdono il posto di lavoro. D’altra parte, la detrazione del 19% per i contributi sanitari esiste già. Si tratta di aumentarla, nell’attuale situazione di emergenza, per i redditi bassi.

Il saldo per lo stato è, in ogni modo, positivo poiché la differenza fra 141.827 e 89.758 = 52.069 milioni di euro rappresenta pur sempre un sostanzioso 3,34% del PIL. Il giorno in cui gli stipendi degli italiani smettessero di essere i più bassi d’Europa (d’accordo, a causa della bassa produttività del sistema-paese), la detrazione irpef potrebbe essere unificata al 19%, totalizzando 26.947 milioni di euro che porterebbero il saldo attivo a 114.880 (141.827 – 26.947) e la percentuale del PIL risparmiato al 7,37% (risparmio da suddividere, nel modo già detto, tra diminuzione del debito ed assistenza alle categorie disagiate).

Sul piano dei conti pubblici, che sono quelli che interessano il mercato, il debito pubblico diminuirebbe del 5% l’anno, come ci sta chiedendo l’Unione Europea, mentre l’1,84% sarà destinato all’assistenza delle categorie disagiate.

Tutti gli altri sono punti positivi.
- Nel primo anno il debito pubblico diminuirebbe del 6,84%. Negli anni successivi, come contropartita alla spesa dei privati cittadini, il Tesoro trasferirebbe -per legge- l’ammontare pari al 73% degli attuali fondi di finanziamento del SSN (pari al 5% del PIL 2008) alla Banca d’Italia, che li utilizzerebbe per rastrellare sul mercato titoli di stato e che distruggerebbe subito (cosa che il Tesoro non farebbe mai: i politici tanto incassano, più spendono).
Rendendo possibile una diminuzione del debito pari al 5% annuo.
Così, per tanti anni fintanto che il debito fosse sceso al 50% del PIL.

- Si sgombrerebbe il campo dalla spinosa questione dei costi standard della sanità. Il finanziamento degli ospedali consisterebbe tutto nel rimborso delle assicurazioni, con il giusto equilibrio tra qualità delle prestazioni, loro costi e premi assicurativi.

-Nessuno perderebbe il posto di lavoro (tranne i vertici politici delle Asl), anzi medici, infermieri e tecnici sarebbero raddoppiati, con conseguente potenziamento delle prestazioni, diminuzione dei casi di malasanità (ed aumento dell’accesso alla facoltà di medicina).

- L’aumento dell’occupazione nella sanità e quello delle attività delle compagnie assicuratrici farebbero ulteriormente aumentare il PIL (e le entrate fiscali).
Si creerebbe un circolo virtuoso che contribuirebbe al rilancio dell’economia.

* * * * * *
L’obiezione principale potrebbe essere: «Lo schema è troppo complicato, se i cittadini devono pagare è meglio lasciare le cose come stanno. I diritti conquistati non si toccano. Sarebbe macelleria sociale. Stiamo continuamente lavorando per migliorare la sanità ed aggiustare i suoi conti». Peccato che la situazione peggiori sempre, come la cronaca degli ultimi giorni lascia intendere.
Ai politici interessa soltanto il potere, per le prebende che offre. Riguardo al debito pubblico, stanno fermi immobili, nell’attesa della “madre di tutte le inflazioni” che, assieme al debito pubblico, spazzerà via i risparmi della gente.

Per queste ragioni, i cittadini, se fossero informati e conoscessero i numeri, sarebbero i primi ad essere interessati alla riforma del SSN. A farsi protagonisti, respingendo la logica di matrice socialdemocratica/cristianosociale che ha portato al welfare attuale. Quella “parmalatteria sociale”, costata finora 1.838 miliardi di euro ancora da pagare, per mezzo della quale una certa classe politica, nutrendo l’ambizione di accompagnare i cittadini dalla culla alla tomba, li ha indotti a pensare che certi diritti fossero loro dovuti sempre e in ogni caso, anche in cambio di tasse insufficienti ai bisogni; e li ha abituati a comportarsi come dei poppanti che non vorrebbero mai staccarsi dal biberon.

Purtroppo, questa riforma non compare nei “cinque punti della maggioranza” e Tremonti, per nessuna ragione al mondo, trasferirebbe soldi alla Banca d’Italia. Non comparirà, mai, nemmeno nei programmi dei partiti d’opposizione, che si dichiarano “riformisti”, reclamano fatti concreti ma si affidano ancora alle narrazioni dei sognatori. Anche se il segretario del PD dice che è ora di “rimboccarsi le maniche”, e smetterla di “pettinare le bambole”, ed il presidente della Regione Emilia Romagna, proprio oggi, inaugurando il nuovo Centro Iperbarico di Bologna ha affermato che, troppo spesso, «quando si parla di sanità si parla di soldi, ma la sanità per funzionare deve avere prima di tutto i valori». Dimenticando che, se l’eccellenza del sistema emiliano non può essere messa in dubbio, le prestazioni, invece, sono erogate con ritardi spaventosi a causa dei soldi.

Non sarà la madre di tutte le riforme, ma -dato che l’Europa ci sta chiedendo di ridurre il debito- andrebbe fatta e dovrebbe trovare un padre. Chi vuole prestarsi: Fini, Tremonti, Bersani, Vendola, Grillo?


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mercoledì 29 settembre 2010

L'Italia futura - 3

Dobbiamo proprio lasciare che il Paese rischi il default a causa del debito pubblico?
È di questi giorni la notizia della Banca d’Italia che il debito ha toccato i 1.838 miliardi di euro. Vale a dire l’importo di diecimila jackpots del Superenalotto da 183 milioni di euro.
E dire che basterebbe un taglio di cinque punti di PIL annuo per dimezzare, nell’arco di una decina d’anni, il rapporto Debito/Pil e rientrare almeno nel 60% fissato dal Trattato di Maastricht.
Non essendo ritenuti efficaci i tagli lineari, è giocoforza ricorrere al taglio di un’unica voce della spesa pubblica. Una possibilità consisterebbe nel riformare radicalmente il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), abolendone il carattere “universalistico” ed introducendo l’assicurazione sanitaria obbligatoria.


* * * * * *
Prima di dire come, vediamo che opinione si fanno i cittadini che vengono a contatto con il SSN, riportando alcuni episodi recenti ma che ricorrono regolarmente durante tutto l’anno in ogni regione italiana.

Prima lettera



Non sia mai che i cittadini possano percepire il sistema sanitario come un inganno. Un giorno dopo la pubblicazione di questa lettera, sullo stesso giornale è apparsa la notizia che alla signora era stato trovato il posto. Miracoli delle “disposizioni dall’alto”, come suole dirsi: si trova sempre una struttura che, avendo programmato dieci ecografie per mattina, può fare anche l’undicesima. L’assessore (il politico) chiama il direttore (da lui nominato), il direttore chiama il “primario”, questi da disposizioni ai sottoposti che, sebbene oberati di lavoro, non possono fare altro che obbedire (magari mugugnando). Merito anche della signora che ha inviato il suo reclamo al giornale giusto.
Per uno che reclama, ci sono altri cento che “non capiscono ma si adeguano”. Se tutti protestassero, i politici si troverebbero «in brache di tela» e l’inganno diventerebbe più palese.

Seconda lettera



L’estensore di questa lettera avanza il sospetto che quella delle “agende chiuse” sia un espediente voluto per favorire altri interessi. Purtroppo non è così. Dalle normali prestazioni al pronto soccorso è tutto un disastro: «Sanità, le liste d’attesa restano eterne. Tempi biblici per visite e tac» (titolo su Repubblica Bologna del 15 gennaio 2010); «Pronto soccorso ortopedico in tilt» (titolo su Repubblica Bologna del 27 settembre 2009); «La protesta degli infermieri al Maggiore. Al pronto soccorso lavoro estenuante» (titolo su Repubblica Bologna del 29 settembre 2009). Siamo di fronte ad una reale carenza di personale (e di mezzi) che i sindacati di categoria non si stancano più di segnalare.

Ecco l’ultima segnalazione

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Entrambi gli estensori delle prime lettere pongono l’accento su due aspetti.
I costi ed il diritto.
«Io pago già sotto forma di tasse proprio per poter avere dei servizi. Per che cosa sto pagando invece?».
«… la salute è un diritto e visto le tasse che si pagano è assurdo pagare due volte».

I COSTI
Il grosso del finanziamento del SSN deriva dall’Irap, dall’Addizionale regionale Irpef e dal Fondo per fabbisogno sanitario ex decreto legislativo 56/2000 (Federalismo fiscale: Iva e Accise).
In più, ogni ASL incassa i ticket normali delle visite e degli esami e quelli maggiorati di coloro che ricorrono all’attività libera professionale. Inoltre, i pazienti che si avvalgono dell’ALP per un’operazione chirurgica, oltre all’equipe medica, all’affitto della camera ed agli esami pre-operatori, pagano l’uso della sala operatoria, della strumentazione e dei medicinali (sono le voci DRG delle fatture – nota 1). Evidentemente tutti questi soldi non bastano per fornire un servizio efficiente ed efficace per i pazienti normali. Bisognerebbe alzare la pressione fiscale dall’attuale 43% a circa il 50% (come avviene in Danimarca e Svezia) e forse non basterebbe. In altre parole, per una prestazione in tempi brevi si finisce per pagare il suo costo reale, mentre per la prestazione con la lista d’attesa si paga un prezzo politico più basso.


I DIRITTI
Ci sono due tipi di diritti.
La vita, la libertà, la proprietà, la libertà d’opinione ed altri, la cui osservanza si realizza semplicemente senza che nessuno intervenga sono detti diritti negativi, od anche libertà negative, od anche libertà da … interferenze dello stato. Si considerano validi in ogni tempo ed in ogni luogo.
La sanità e, in genere, i diritti garantiti dallo stato sociale (il Welfare), la cui attuazione richiede risorse, sono detti diritti positivi, od anche libertà positive, od anche liberta di … avere qualcosa. Dipendono dalle circostanze, dai luoghi e, quando attuati, possono esserlo con diverso grado.


Come abbiamo visto dalle lettere il nostro SSN non soddisfa né i pazienti, né gli operatori
Prendiamo, per esempio, un uomo di 60 anni che, a causa della prostata, comincia a svegliarsi poco dopo essersi addormentato. Va in bagno, torna a letto ma, dopo dieci minuti, ha ancora bisogno e, poiché la cosa si ripete, non riesce a chiudere occhio. Il mattino si alza che è intronato e va a lavorare stanco morto. Questo per tre notti ogni quattro. L’uomo si rivolge all’Ospedale Maggiore e si sente dire: «la mettiamo in lista, ci vorrà un anno, prima dell’intervento». Prendiamo la legge che eleva l’età pensionabile a 65 anni. Mettiamo che l’uomo sia un autista d’autobus, o un manovratore di treni, od un operatore di una pressa. Che cosa succede se causa un incidente? Ovvio, gli fanno il test dell’alcol e della droga per vedere se è colpevole.

Quell’uomo che si reputava fortunato perché non pagava il medico e lo sciroppo della tosse, dopo esperienze del genere (l’attesa per l’intervento), comincia a vedere il SSN con occhi diversi.
È il caso di continuare a pagare delle tasse per un servizio comunemente non disponibile?
Se le prestazioni non sono disponibili nel momento in cui ti servono, questo fa sì che il sistema sanitario diventa inaffidabile e quello che passa per un diritto positivo si tramuta in un diritto “negato”. Questo è un primo motivo per riformare radicalmente il SSN.

* * * * * *
Le cose potrebbero migliorare soltanto con un aumento delle risorse umane (e strumentali).
Invece cosa succede?
Siccome il Welfare attuale non ha i soldi per pagare tutti i dottori che sarebbero necessari ecco che l’accesso alla facoltà di medicina è programmato «tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo» (Legge n. 264 del 2 agosto 1999 del I governo D’Alema). In barba all’articolo 4 della Costituzione che, al secondo capoverso, recita: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».
Con la programmazione, non c’è più universalismo che tenga. Che cosa è servito, negli anni passati, abolire la “scuola di classe”, istituire la scuola media unica e consentire l’accesso a tutte le facoltà universitarie a chiunque avesse un diploma di scuola secondaria per, poi, chiudere la porta alla maggioranza degli aspiranti con un marchingegno cretino?

Chissà se Albert Schweitzer e Gino Strada sarebbero diventati dottori se avessero dovuto superare la stupida lotteria dei quiz.
Anche il diritto positivo allo studio (della medicina) diventa un diritto “negato”.

Il mondo è bello perché è vario. Mentre la Cina assomiglia sempre più agli Stati Uniti e perfino Cuba (buon’ultima) imbocca questa strada, l’Europa privilegia il modello dell’ex Unione Sovietica, dalla quale sembra avere importato interi container di “socialismo reale”.

* * * * * *
C’e un secondo motivo per riformare radicalmente il SSN. Il welfare degli stati europei è troppo generoso, mentre molti altri paesi ne sono privi del tutto. Lo ha spiegato bene, qualche settimana fa, Eugenio Scalfari. Ricorrendo alla legge fisica dei vasi comunicanti ha esposto, nella prima parte di un editoriale, un teorema in base al quale diventa inevitabile che i paesi, che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità, rinuncino a dei privilegi in favore dei paesi più svantaggiati. Quindi occorre fare delle scelte.
Preferite perdere la pensione oppure l’assistenza sanitaria?
Preferite continuare a sognare e rischiare di perderle entrambe?
Perché è questo che intende dire Scalfari, se le sue parole hanno un senso.

* * * * * *
Il SSN è ormai uno strumento logoro, inefficiente ed inaffidabile.
Non soltanto in Emilia Romagna. Abbiamo letto tutti delle truffe perpetrate da parte di case di cura private ai danni dei pazienti e della regione Lombardia. Per limitarci ai due modelli di sanità considerati i migliori d’Italia.
Il SSN serve ormai soltanto alla casta burocratica che lo controlla, come ci ricorda il seguente articolo (del quale mostriamo solo il titolo per via della “riproduzione riservata”), dove si dà notizia dello scontro in atto per le nomine dei direttori generali di sei ospedali ed Ausl in Emilia Romagna.



Alla fine dell’anno scade anche il mandato dei 45 direttori sanitari di Asl e aziende ospedaliere della Lombardia. Si prevedono scambi di cortesia fra la Lega e Comunione e Liberazione.

* * * * * *
Un ulteriore motivo per riformare radicalmente il SSN deriva dal corollario del teorema di Scalfari (seconda parte dell’editoriale). «Anche all’interno di un singolo paese deve valere la legge dei vasi comunicanti». Non possono più esserci bicchieri quasi pieni ed altri quasi vuoti, ma tutti devono raggiungere lo stesso livello. Non c’è ragione che il proprietario di un’auto da 50.000 euro, oppure la signora in grado di acquistare una borsetta da 4.500 euro, ottengano gratis lo sciroppo della tosse o l’aspirina.
David Cameron, impegnato in una rigorosa revisione della spesa pubblica del Regno Unito, in un suo recente articolo su Repubblica, ha fatto l’esempio dei risparmi ottenuti da una linea aerea sopprimendo un’oliva dall’aperitivo offerto ai passeggeri.
Quante “olive” si potrebbero risparmiare nella sanità italiana, se si abolisse il carattere universalistico del SSN?

* * * * * *
Per abbattere il debito pubblico si dovrebbe:

1 - Smantellare il carattere universalistico del sistema sanitario, sciogliendo le USL, le ASL, le AUSL (ed anche i CUP).
Ogni ospedale ritorni ad essere un’azienda autonoma amministrata da una decina d’impiegati.

2 – Istituire un sistema d’assicurazione sanitaria obbligatoria.
Essendo l’attuale spesa sanitaria il 6,8% del Pil, l’obiettivo è di risparmiarne il 5% e di utilizzare il rimanente 1,8% per provvedere –tramite i comuni che, col federalismo, disporranno anche dell’imposizione autonoma delle tasse- ai malati cronici, agli anziani indigenti ed alle fasce di reddito più basse.


3 – A parità d’imposizione fiscale, lo Stato trasferirà il 73% degli attuali fondi di finanziamento del SSN alla Banca d’Italia, che li utilizzerà per rastrellare titoli di stato sul mercato e che distruggerà subito.
Così, per tanti anni fintanto che il debito sarà sceso al 50% del PIL. Poi, si vedrà il da farsi.


* * * * * *
In questi giorni l’edizione locale del Corriere.it ha proposto ai lettori il tema:
«Bologna: cosa salvare? E cosa buttare?»
Si potrebbe radere al suolo Palazzo d’Accursio divenuto, dopo l’età aurea dei Glossatori, simbolo ormai vuoto d’antichi e vecchi conformismi.
Al suo posto si potrebbero edificare due torri cilindriche, di vetro e cemento, alte come San Petronio, che si compenetrino leggermente, sulle cui pareti si specchierebbero la basilica, il Palazzo del Podestà e la statua del Nettuno, creando effetti suggestivi.
Et voilà il nuovo ospedale “Le Gocce Maggiori”.
Ai primi piani di una delle torri troverebbe posto, opportunamente insonorizzato, un auditorium per rappresentazioni teatrali, musicali e per convegni e congressi. In modo da rallegrare un po’ l’ambiente. Bologna, pur sempre turrita, diventerebbe meno fosca ed il centro riprenderebbe nuova vita.

* * * * * *
Al bando le divagazioni futuriste.
La riforma del SSN avrebbe anche l’immenso vantaggio di togliere di mezzo il grosso macigno rappresentato dalla determinazione dei costi standard nella sanità, e spianare la strada ad un federalismo meno costoso. Non sarebbe in ogni modo, per i cittadini, un’operazione a costo zero, ma piuttosto onerosa almeno per i primi anni.
Resta il fatto che, soltanto dopo che il debito pubblico sarà abbattuto, si potrà cominciare a parlare d’Italia futura.


* * * * * *
NOTA 1)
DRG acronimo di “Diagnosis-Related Group” -equivalente in italiano”Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi (ROD) - è lo strumento che serve a classificare i ricoveri ospedalieri ed a calcolare le tariffe con le quali sono retribuiti gli ospedali, per l’attività di cura. Introdotto in Italia nel 1995, il sistema è stato creato dal prof. Fetter dell’università di Yale nel 1983.
E’ un sistema isorisorse: descrive l’assistenza al paziente partendo dal principio che malattie simili, in reparti ospedalieri simili, comportano orientativamente lo stesso consumo di risorse materiali e umane, alle quali si fa corrispondere una data tariffa calcolata.
In pratica, sono i costi standard nella sanità.

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martedì 21 settembre 2010

La tracolla ed il tracollo

La giovane ed elegante signora, appena uscita dal negozio, ancora soprappensiero per via delle doppie nappine, incespicò e cadde pesantemente fratturandosi una piccola, maledetta, vertebra.
Fattasi portare al pronto soccorso, alla vista dei numerosi pazienti in attesa, pensò tra sé e sé: «Ohibò! Ma quante tracolle hanno venduto stamattina?»


venerdì 10 settembre 2010

sabato 4 settembre 2010

L'Italia futura - 2

L’argomento più consistente addotto, nei giorni scorsi, contro il ritorno alle urne in autunno è che, in quei mesi, sono in scadenza circa 80 miliardi di titoli a lungo termine ed altri 150 nel 2011 (Alessandro Penati su Repubblica del 21 agosto) che il Tesoro dovrà rifinanziare. In caso di crisi di governo, la speculazione internazionale ci farebbe a pezzi, assicurano gli esperti. Anche perché è aumentata la quota del debito pubblico allocata all’estero: a partire dal 2005, i NON residenti detengono oltre il 50% del debito (mentre nel 1998 i residenti in Italia ne detenevano ancora il 71% e nel 1991 addirittura il 94%).

Questo motivo richiama all’attenzione il più grave problema del Paese: l’enorme debito pubblico accumulato negli anni 80 e 90, e accresciuto, nell’ultimo decennio, anche a causa della crisi economica globale. Siamo arrivati attorno a 1.820 miliardi di euro di debito.

Una ricostruzione autorevole della serie storica del debito (in percentuale del PIL) è disponibile in questo studio, dell'ottobre 2008, sul sito della Banca d’Italia.
La figura 5 «mostra che l’Italia è stata ed è un paese con un debito pubblico elevato. Gli anni in cui il debito è stato superiore al prodotto non sono casi isolati. Su 147 osservazioni l’incidenza del debito delle Amministrazioni pubbliche sul PIL è stata superiore al 100 per cento in 53 anni; ha superato il 60 per cento in 108 casi. Il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, caratterizzato dal miracolo economico e da un peso del debito in media ben al di sotto del 35 per cento, appare infatti come un’eccezione».




«La scomposizione del debito fra interno ed estero aiuta a chiarire la dinamica sottostante i due rilevanti episodi di repentino aggiustamento seguiti ai conflitti mondiali (fig. 5). Mentre nel caso degli anni che seguirono la prima guerra mondiale, il venir meno del debito estero prebellico (che fu in parte significativa condonato - nel 1925 i debiti nei confronti del Governo degli Stati Uniti furono ridotti di circa i 4/5, nota 45-) spiega in parte rilevante il crollo osservato negli anni venti e nei primi anni trenta, la drastica riduzione del peso del debito (quasi integralmente interno) realizzata alla fine della seconda guerra mondiale è invece attribuibile principalmente all’elevatissima inflazione».

La fase di forte accumulazione di debito pubblico che inizia intorno al 1964 e, senza arrestarsi, continua fino a raggiungere il massimo nel 1994 è dovuta principalmente alla creazione dello Stato sociale per opera, prima, dei governi quadripartito e, successivamente, di quelli del centrosinistra.

Sintomatica questa confidenza del Presidente emerito Francesco Cossiga, ricordata nei giorni delle sue esequie: «In nome della carità e della solidarietà ho sbagliato. Credevo che la politica economica dello stato dovesse ricalcare le linee della San Vincenzo. Abbiamo scambiato la solidarietà con lo spreco. La solidarietà con l'inefficienza. Pensavamo che i soldi non sarebbero finiti mai» (Ceccio da Chiaramonti, L’eterno provocatore, Gian Antonio Stella, 18 agosto 2010 Corriere della Sera.it).

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La questione del welfare va vista nell’ottica della classica contrapposizione destra – sinistra (una diade che tuttora sopravvive, come ha spiegato Norberto Bobbio in “Destra e Sinistra”, cap. III).
Compito di un governo di sinistra è di costruire una società più giusta attraverso il potenziamento dei servizi sociali, la tutela dei lavoratori, il sostegno alle fasce più deboli e la tutela dei diritti fondamentali. Quindi più tasse al fine di assicurare più servizi alla collettività e conseguentemente più uffici e più personale pubblico. Il modello è quello "universalistico". I diritti derivano dalla cittadinanza: vi sono quindi dei servizi che vengono offerti a tutti i cittadini dello Stato senza nessuna differenza.
Un governo di destra, invece, si propone d’intervenire il meno possibile nell’economia e nella società. Sostiene la teoria dello stato minimale: poche tasse, servizi sociali ridotti all’osso, contratti di lavoro meno vincolanti per le imprese.
Il modello viene spesso definito “residuale”, in quanto concernente una fascia di destinatari molto ristretta. Per gli altri individui, che costituiscono la maggior parte della società, i servizi sono acquistabili sul mercato privato dei servizi.

Nessun dubbio che, di fronte alla domanda su quale sistema preferiscano, la maggior parte delle persone opti per la prima soluzione. Salvo rendersi conto, una volta di fronte alle inefficienze, che non è tutto oro quello che i politici cercano di far luccicare. Occorrerebbero sempre più risorse, quindi più tasse.
Nella storia di un popolo si alternano periodi (che possono durare anche molti anni) nei quali predomina la politica della spesa pubblica, ed altri in cui occorre mettere un freno perché, nonostante le alte tasse, il sistema è diventato insostenibile oltre che inefficace ed inefficiente. Quello attuale, è uno di questi. Tutti i commentatori politici riconoscono che non possiamo più permetterci questi livelli di welfare: è giunto il momento di sottoporre lo stato sociale a dieta forzata. Se non altro, per il doveroso rispetto del patto di solidarietà tra le generazioni.

* * * * * *
A chi aspetta il compito di abbattere il debito pubblico?

A chi governa, ovviamente.
La sinistra ha le sue ricette. Si può ridurre il debito senza minare lo stato sociale. L’elenco degli strumenti è nutrito: eliminazione degli sprechi, lotta all’evasione fiscale, tasse più alte per i ricchi, diminuzione dei costi della politica e, dulcis in fundo, praticare la virtù dell’avanzo primario.
Tutti provvedimenti che, presi uno per volta, non bastano. Molti dei quali con risultati non prevedibili né misurabili. Da perseguire in ogni caso allo scopo di abbattere il deficit (impresa più facile), di rilanciare l’economia e lo sviluppo e, contestualmente, diminuire le tasse per le persone e le imprese.
Per raggiungere l’obiettivo –senza praticare tagli- il centrosinistra dovrebbe vincere le elezioni per i prossimi settant’anni ma non è detto che, prima, lo stato sociale italiano imploda come l’Urss di Breznev. Le cause, naturalmente, non sarebbero imputabili al centrosinistra che, anzi, troverebbe sicuramente il modo per menare vanto di avere evitato “il peggio”.

Il compito si addice di più ad un governo di destra. Ma quale destra?
Riesce difficile paragonare il governo Berlusconi (con il Pdl dominato da ex socialisti) al nuovo governo lib-con di David Cameron. Questi, per ridurre l’enorme indebitamento del Regno Unito, ha già messo in atto una rigorosa analisi della spesa pubblica in tutti i suoi dettagli (Spending Review) e sta operando una serie di tagli (soprattutto tra quegli eccessi di spesa ormai dati per scontati come se fossero a tutti gli effetti parte integrante dell’organizzazione statale) con lo scopo primario di dare maggiore potere e controllo ad ogni singolo cittadino sulla propria vita. «Il governo lib-con punta poi a ridisegnare, con i servizi, anche il sistema di welfare individuando nei privati e nelle associazioni i soggetti adatti ad occuparsi, oltre che di istruzione ed ospedali anche di funzioni eminentemente sociali, come ad esempio il ri-collocamento dei disoccupati ed il recupero dello svantaggio sociale». (Simona Bonfante su Libertiamo, 20 agosto 2010)

Il centrodestra italiano minimizza e professa ottimismo. I mercati sanno che i creditori dello Stato italiano sono per il 50% (il bicchiere mezzo pieno) i suoi cittadini e che una considerevole porzione degli interessi pagati dallo Stato resta in famiglia. Sanno infine che in Italia, a confronto di quanto accade in altri Paesi, la percentuale del risparmio è elevata. Le periodiche emissioni di bond vengono bene accolte dai mercati e la domanda è generalmente superiore all’offerta. A ridurre il debito, dicono, ci penseremo quando il Paese ricomincerà a crescere.

Per anni, la classe politica –tutta- non ha fatto altro che rimuovere l’incubo del debito. Continua a starsene cinicamente seduta sulla riva del fiume, sperando che qualcuno arrivi a condonarci parte del debito come fece il governo americano nel primo dopoguerra, oppure nell’attesa che nella zona euro (e negli Usa) arrivi una provvidenziale inflazione, tassa certamente iniqua ma in buona parte «invisibile » e in larga misura pagata dai detentori esteri. Inflazione che non potrebbe essere strisciante anno dopo anno, ma che dovrebbe avvenire di colpo ed essere elevatissima, per produrre l’effetto desiderato di far crollare il debito. Sempre ammesso che gli investitori esteri, per i quali rimaniamo “sorvegliati speciali”, stiano a guardare. Si rischia che, prima dell’inflazione, arrivi il default del Paese. Soprattutto in ragione dell’esposizione verso l’estero, il debito pubblico rimane una spada di Damocle, che blocca lo sviluppo e che sta già ricadendo sui giovani nati dopo il 1978.

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Un’opportunità potrebbe essere rappresentata dalle novità che stanno accadendo in questi giorni, con l’eventuale nascita del partito di Gianfranco Fini, visto dai suoi sostenitori come il « tentativo di elaborare un polo “nuovo” (più che terzo) che si prefigga di contendere al “primo” l’appalto della rappresentanza liberal-democratica dell’elettorato. Un modello Cameron-Clegg, per intenderci». (Simona Bonfante su Libertiamo, 16 agosto 2010)

Mentre il suo esponente più “liberal” scrive: «Alla fine del percorso, Fini oggi sostiene – proprio sui temi “sensibili” dei diritti, dell’immigrazione, della bio-politica e dell’identità civile – posizioni più vicine di quelle berlusconiane al mainstream liberal-conservatore europeo.
…………..
Perfino sui temi economici – che rappresentavano il “cuore” della promessa berlusconiana – Fini raggiunge una posizione mediana tra la difesa dell’interesse e della coesione nazionale e la necessaria modernizzazione del modello economico-sociale di un paese che non cresce quanto i suoi concorrenti. Nel frattempo Berlusconi perde la gran parte della sua forza “rivoluzionaria”, in un traccheggio sparagnino, ma diffidente delle vere riforme (quelle che potrebbero costare consenso, ma dare fiato ad un paese in affanno).
Oggi è il PdL di Berlusconi, attraverso il legame a doppio filo elettorale e soprattutto politico con Bossi, ad essere vicino al “Dio, Patria e famiglia” del reazionario Le Pen e delle destre anti-liberali. Fini invece ha oggi – proprio sui temi che lo renderebbero “estraneo” al PdL – idee e proposte più consonanti con quelle di Cameron, Merkel, Rajoy o Sarkozy, cioè di quella destra popolare e conservatrice che ‘contiene’ i liberali o governa con essi». (Della Vedova su Libertiamo, 25 agosto 2010)

Per la maggioranza dei commentatori, però, contro la possibilità di fare una politica di destra moderna e liberale, giocherebbe la necessità di Fini di raccogliere voti. Impresa difficile e possibile solo al Sud, a patto di permettere a questa parte d’Italia di perpetuare i propri vizi, si tratti dei costi della politica locale o dei dissesti della sanità regionale. La divisione non è tra Destra e Sinistra, ma tra Nord e Sud. Tra due concezioni diverse del Federalismo che, se non trovano una sintesi, mettono a rischio l’unità della Nazione.

* * * * * *
Pare che, in nome dell’unità nazionale, dovremo tenerci il debito.
È possibile che non esista un punto d’equilibrio per assicurare efficienza e tutelare l’unità nazionale? Dobbiamo proprio lasciare che il Paese rischi il default?

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giovedì 26 agosto 2010

Vaste programme, en effet!


sabato 21 agosto 2010

Partecipazione

«Bersani lancia mobilitazione porta a porta. Appuntamento a settembre per la più grande mobilitazione porta a porta che un partito abbia mai promosso, grazie agli oltre tre milioni di elettori delle primarie, a tutti gli iscritti e alle migliaia di amministratori locali. Dobbiamo raggiungere il più alto numero di italiani, casa per casa, e informarli dei danni che il governo Berlusconi ha prodotto in questi anni, e per lanciare nostra proposta di governo».

Qualche elettore delle passate primarie potrebbe avere alcune obiezioni.
Ho conservato questa lettera che descrive magnificamente il rapporto tra eletti ed elettori, a prescindere dal partito per il quale si vota.



lunedì 16 agosto 2010

L'Italia futura - 1

Dopo uno splendido luglio, ritorni dalle ferie e scopri che, mentre ti godevi il sole ed il mare, è andata in onda l’ennesima sceneggiata della politica italiana.
Gianfranco Fini ed i suoi sono finalmente riusciti a farsi espellere dal Popolo della Libertà ed a porre, così, le basi di un possibile radioso Futuro: per loro stessi e per il Paese tutto.
Si sono visti subito volare gli stracci. Si è cominciato a tirare fuori degli armadi un po’ di scheletri: una casa qua, una villa là e quell’Altro a Santo Domingo. Sgradevoli e stonati gli assolo dei clarinetti d’ambo le parti: diventa un reato perfino comperare una saliera per regalarla ad un parente. Non sappiamo se a giocare e ad incassare la vincita al Superenalotto sia stata Lei o quell'Altro, ma, se venisse fuori che i numeri li suggerì Fini, allora sì che si dovrebbe dimettere per essere venuto meno all’imparzialità che il suo ruolo richiede.

Tra grida e strepiti si è levata l’accusa a Fini di avere tradito gli elettori. Come se non fosse evidente che qualche milione d’elettori che hanno votato per il centrodestra sopportano, ormai,
con disagio e delusione la disinvolta condotta del premier e d’alcuni suoi consiglieri. A tenerli su di morale, neanche la notizia che ci sono tanti italiani che issano felici, sul loro yacht, la bandiera delle isole Cayman (anche se queste non sono mai state note per le cipolline, semmai per gli ananas e le tartarughe, presenti sul loro stemma). Il tutto tra l’animoso ma sterile interessamento di un’opposizione divisa e quanto mai sconclusionata. Scrive Pietro, con ironia, su Facebook: «Non è un dialogo scritto da Crozza ma è successo davvero... Montezemolo: "Berlusconi ha fallito e vince solo perchè manca una seria concorrenza". Il PD: "Siamo d'accordo con l'analisi di Montezemolo"».

Naturalmente, ad alimentare il copione hanno provveduto i leader dei partiti con le loro dichiarazioni ed i commentatori politici sui giornali ed alla televisione.
Il governo deve dimettersi. Se questo accade, si va subito al voto. Prima occorre cambiare la legge elettorale (facile a dirsi!). Se il governo cade, si cerchi un’altra maggioranza, come vuole la Costituzione. Che so? Un governo tecnico, oppure uno di larghe intese. Meglio, ancora, creare “un’area di responsabilità costituzionale”. E perché no, un esecutivo d’astrologhi capitanati dal mago Otelma?

Adesso, cosa accadrà?
Negli ultimi giorni sembra che sia possibile arrivare ad una ricomposizione, oppure che il Pdl riesca a riassorbire un certo numero di finiani. Staremo a vedere. Altrimenti –esperiti i tentativi d’obbligo- si tornerà alle urne, nel qual caso tutto dipenderà con quale legge si andrà alle urne.

Il “terzo polo” costituito da Casini, Fini e Rutelli può essere solo un cartello elettorale, non una forza di governo, stante le differenze tra Fini e gli altri, ad esempio, in tema di bioetica (fine vita).
Se si voterà con l’attuale legge elettorale –come è prevedibile- i partiti del terzo polo raccoglieranno briciole. Con questa legge, gli elettori tendono, infatti, ad usare il “voto utile” ed a “votare contro” per impedire che il potere cada in mano alla coalizione meno gradita.

Vista da sinistra.“L’unica strada logica è che l’opposizione, tutta l’opposizione, mettendo da parte gli interessi di bottega, si unisca per garantire una maggioranza con un programma limitato a pochi punti, in modo da evitare nell’immediato il pericolo di bancarotta e preparare la strada a elezioni regolari” (Curzio Maltese, la Repubblica, 6 agosto 2010).
Giusto, salvo che alle successive elezioni regolari tutta l’opposizione si dovrebbe unire di nuovo per vincere, ma difficilmente si potrebbe accordare su un intero programma di legislatura.

C’è, infine, chi prospetta due incognite: un exploit della Lega e il rischio di una maggioranza diversa tra camera e senato. Infatti, spiega Mastella: «Se non si vota subito Berlusconi è fregato: superato l’autunno con le impazienze della Lega e perdendo la maggioranza al Senato è sfottuto». Da qui il sogno berlusconiano, difficilmente realizzabile, di un blitz per modificare la legge elettorale solo per Palazzo Madama.

La colpa di quanto sta accadendo, ad ogni modo, è tutta dell’imperfetto bipolarismo all’italiana.
“Questa versione miserabile e peronista del bipolarismo è ora al capolinea, come testimoniano le crisi parallele dei due soggetti che lo incarnavano, il Pdl e il Pd” (Curzio Maltese, la Repubblica, 6 agosto 2010).
In effetti, non si possono incamerare in
due soli contenitori le diverse opinioni degli elettori (persone, individui, non greggi). Come molti commentatori sostengono ormai da qualche tempo. Meglio tornare al proporzionale ed a governi di reale coalizione da costituire in Parlamento. Dopotutto, la politica è, o non è, l’arte della mediazione?
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mercoledì 30 giugno 2010

Pausa feriale

Fra tanto incanto, il disappunto può attendere!


venerdì 28 maggio 2010

La finanziaria 2011-2012 e i rimborsi ai partiti

Abbiamo letto che tra i provvedimenti della finanziaria, intesa ad affrontare la crisi in atto, ci sarebbe il dimezzamento dei contributi ai partiti da UNO a MEZZO euro per elettore.
Abbiamo messo il condizionale perché non c’è ancora nulla di preciso: si potrebbe partire da subito, oppure dalla prossima legislatura (o forse mai).
Comunque sia, tra le misure previste, questa è senz’altro la più cattiva, la più controproducente e la più demagogica.
Nel
post precedente, abbiamo visto la differenza tra i rimborsi delle spese elettorali in Inghilterra ed in Italia. La nostra legge consente ai partiti italiani di incassare, ogni legislatura, quasi dieci volte di più dei partiti inglesi (d’opposizione).
Mauro Agostini, ex tesoriere veltroniano del PD,
ha calcolato, in modo minuzioso, che dal 2004 al 2008 sono entrati nelle tasche dei partiti italiani 941 milioni 446.091 euro e 14 centesimi.
Se consideriamo che questa cifra è circa quella che incassa tutti gli anni la CEI con l’otto per mille, e che per una banale “primaria” l’elettore deve sborsare almeno quattro euro, possiamo affermare che i partiti non godono, poi, di particolari favori.

I partiti italiani, associazioni di fatto non regolate dalla legge –a parte che hanno dei nomi fantastici che tutto il mondo c’invidia- ricoprono, ad ogni modo, un ruolo importante. Nella breve storia della Repubblica hanno conseguito grandi meriti. Il principale è di avere creato un Welfare strepitoso che ci ha permesso di vivere, per anni ed anni, al disopra delle nostre possibilità. Gli italiani, ingrati, invece di condurre una vita sobria, ne hanno approfittato per accumulare ricchezza e risparmi senza investirli, però, per lo sviluppo.

Nell’immediato, tra i compiti che i partiti hanno, quello più immane è: vincere l’astensionismo per salvare la democrazia. Alle politiche del 2008 ha votato l’80,51% degli aventi diritto, alle regionali del 2010 l’affluenza ha oscillato tra il 61% di molte regioni ed il 68% dell’Emilia Romagna. Un calo notevole.
La disaffezione per la politica sta dilagando. Occorre molta propaganda per convincere gli elettori a recarsi alle urne. Se mancheranno i soldi come farà il PDL a far capire alla gente il suo “Credo Laico” ed a strappare elettori al centrosinistra? Ma soprattutto come farà il PD a far capire il suo “Progetto per l’alternativa” ed a strappare elettori al centrodestra?
Abbiamo la legge più evoluta e moderna d’Europa in fatto di rimborsi elettorali.
Per favore, non facciamo passi indietro. Giusto combattere la mafia, la camorra, l’andrangheta e prendersela con la casta, la cricca, gli evasori, gli scudati, i falsi invalidi, i pomodori cinesi, ma non macelliamo i partiti. Col pretesto che dovremmo diminuire le tasse.

* * * * * *
Angelo Bagnasco, aprendo qualche giorno fa l’Assemblea generale della Cei, ha esortato l’Italia ad un impegno bipartisan per affrontare il nuovo giro di vite imposto dall’acuirsi della crisi economica. Secondo Bagnasco serve «un responsabile coinvolgimento di tutti nell’opera che si presenta sempre più ardua».
Chissà se, illuminati dall’Alto, gli eminentissimi concittadini vorranno trasformare l’impegno in “tripartisan” e lasciarsi coinvolgere. Fino ad accontentarsi, invece che dell’otto, di un cinque per mille per almeno i prossimi due anni. Non solo per l’Italia, ma anche in segno di riconoscenza verso colui che ha concepito una legge tanto “equa” quanto geniale.

* * * * * *
Bene. Adesso vado a giocare un euro al superenalotto. Non si sa mai. Sappiamo statisticamente che la Fortuna ogni tanto una parola la dice. D’accordo –dovesse capitare- non ti salva l’anima ma ti aiuta ed è sempre meglio di una finanziaria di duri sacrifici, fosse pure fatta per salvare la monetina da un centesimo di euro, visto che le banconote da 200 e da 500 rischiano di essere messe fuori gioco dalla “tracciabilità”.
Tenendo conto che, oggi, si vorrebbe limitare i pagamenti in contanti a 100 euro, è sconcertante constatare come la mirabile trama dell’euro (otto tagli di monete e sei di banconote) sia già in crisi dopo soli otto anni di funzionamento.


martedì 25 maggio 2010

Le elezioni inglesi viste dall'Italia

Alcune notizie sulle elezioni generali del 2010 nel Regno Unito e qualche confronto con l’Italia.

I PARTITI
In Inghilterra ci sono due grandi partiti: i Conservatori ed i Laburisti.
C’è, però, un terzo incomodo: i Liberali Democratici.
Ci sono, poi, i partiti “nazionali” delle tre nazioni (Scotland, Wales e North Ireland) che, assieme all’England, costituiscono l’United Kingdom.

In Scozia, lo Scottish National Party o SNP rivendica l'indipendenza della Scozia dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. La sua politica economica si basa sui valori della socialdemocrazia europea. E’ favorevole all’adozione dell’euro. Il partito nazionale scozzese, ai nostri giorni è riconosciuto come forza politica di centrosinistra. 6 seggi nel 2010 sui 59 della Scozia.

Nel Galles, il Plaid Cymru (The Party of Wales, in inglese, spesso chiamato semplicemente Plaid) si rifà alla tradizione della lingua Cymraeg. E’ un partito politico di centro-sinistra che sostiene la costituzione di un Galles indipendente all'interno dell'Unione europea. 3 seggi sui 40 del Galles.

Nell’Irlanda del Nord,
il Democratic Unionist Party, DUP è il più grande dei due principali partiti politici unionisti in Irlanda del Nord. E’ un partito protestante e rappresenta la corrente unionista (conservatrice) che vuole continuare a restare unita col Regno Unito. 8 seggi.
L’altro è l’Ulster Unionist Party, UUP più moderato. Nessun seggio.
Il Sinn Féin (letteralmente noi stessi in lingua irlandese, ma spesso reso in inglese come ourselves alone o noi altri soli in italiano) è il nome del movimento indipendentista irlandese fondato nel 1905 da Arthur Griffith; è un partito repubblicano. Nell'Irlanda del Nord è dal 2005 il più forte partito fra i cittadini cattolici e per questo viene sovente indicato, in modo errato, come il partito cattolico nord-irlandese. I suoi eletti si rifiutano di entrare a Westminster per non dovere prestare giuramento. 5 seggi.
Il Social Democratic and Labour Party, SDLP
Il SDLP ha per molti anni dominato la scena politica nazionalista, fin quando non si è vista togliere il trono dallo Sinn Fèin. Oggi, cerca di galleggiare proprio opponendosi alla prorompente leadership di Adams & Co. Continuano a professare il desiderio di un’Irlanda unita, tramite mezzi pacifici. 3 seggi.
The Alliance Party of Northern Ireland, APNI, è un partito liberale e non settario, attualmente su posizioni neutrali rispetto al movimento unionista. 1 seggio.

Complessivamente questi 5 partiti più l’indipendente Sylvia Hermon (già dell’UPP) si sono aggiudicati i seggi di tutti i 18 collegi dell’Irlanda del Nord: 8 agli unionisti, 8 agli indipendentisti, 2 neutrali.

Ci sono, infine, una miriade di partiti minori e locali “registrati” (come gli altri già nominati) obbligatoriamente presso l’Electoral Commission, organo indipendente dal Governo e responsabile nei confronti della Camera dei Comuni, dotata d’importanti poteri di monitoraggio, controllo e consulenza per tutto ciò che concerne l’attività finanziaria delle organizzazioni partitiche oltre che in materia elettorale.

Ci hanno sempre raccontato che l’Inghilterra era un paese felice perché c’era un sistema bipartitico.
Poi si scopre che c’è, come in Italia, una miriade di partiti, grandi e piccoli, da fare invidia ai nostalgici del nostro “mattarellum”. Qualche volta, com’è accaduto quest’anno, capita che nessun partito ottiene la maggioranza per governare da solo.

IL SISTEMA ELETTORALE
L’Inghilterra è suddivisa in 533 constituencies (collegi elettorali), la Scozia in 59, il Galles in 40 e l’Irlanda del Nord in 18, per un totale di 650 seggi (maggioranza 626 seggi).
I parlamentari britannici sono eletti attraverso il sistema del first past the post ovvero l'uninominale maggioritario secco. Sebbene i collegi possano variare di molto come superficie, si cerca di mantenere, approssimativamente lo stesso numero medio d’elettori.
Dalla tabella dei risultati, essendo 29.653.638 i voti validi espressi, pari ad una percentuale del 65,1%, risulta che gli aventi diritto sono circa 45.550.000, e il numero medio per collegio è stato di 70.077 votanti.

In Italia (quando la crisi economica lascia spazio) si sente parlare di una possibile riforma elettorale. Una delle proposte più gettonate è proprio quella del sistema inglese a collegi uninominali a turno unico, che –si raccomanda- devono essere, però, i meno estesi possibili. Magari qualche sostenitore di questo sistema aggiunge anche che occorre ridurre il numero dei parlamentari e non vede la contraddizione.
Alle ultime elezioni politiche italiane del 13 aprile 2008, gli aventi diritto al voto, per la Camera, furono 47.041.814 (esclusa la Valle d’Aosta). I votanti furono 37.874.569 pari al 80,51%.
Se si tenesse il numero medio d’elettori per collegio di 70.000 (come in Inghilterra), dovremmo avere un numero di deputati pari a 670. Soltanto con 100.000, numero considerato troppo alto, si ridurrebbero a 470.

LA TABELLA RIASSUNTIVA DEI RISULTATI

Come si ricava da questa tabella di wikipedia, hanno presentato candidati ed hanno ottenuto voti QUARANTATRE partiti, più molti dei candidati presentatesi come indipendenti.
Hanno ottenuto seggi DIECI partiti, lo Speaker uscente ed UNO degli indipendenti.

L’Alliance Party ha vinto un seggio con Naomi Long in Belfast East, battendo Peter Robinson, leader del DUP e Primo Ministro dell’Irlanda del Nord. Non accadeva dal 1973 quando vinse Stratton Mills.

Per la prima volta hanno ottenuto un seggio i verdi: la leader del Green Party, Carolin Lucas ha vinto quello di Brighton Pavilion.

I CANDIDATI INDIPENDENTI
In Inghilterra, chiunque può presentarsi come indipendente senza troppe difficoltà: sono sufficienti le firme di DIECI votanti del collegio ed un deposito di 500 £ che viene restituito soltanto se si raggiunge il 5% dei voti.
Lo speaker uscente John Bercow, che all’atto della sua elezione dovette lasciare il partito conservatore, è stato rieletto come indipendente nel collegio di Birmingham, dove secondo la consuetudine non hanno presentato candidati né il Labour, né i LibDem.

L’indipendente Lady Sylvia Hermon, già rappresentante in Parlamento dell’UUP e uscita dal partito perché in disaccordo sull’alleanza tra UPP e Conservatori (Ulster Conservatives & Unionist – New Force), si è aggiudicata col 63,26% dei voti il seggio di Down North. Come conseguenza, l’UUP è rimasto senza rappresentanza per la prima volta dalla fondazione del partito.

L’indipendente Rodney Condor, invece, è stato battuto da Michelle Gildernew del Sinn Fein nel collegio di Fermanagh & South Tyrone per soli 4 voti (21300 contro 21304, dopo il terzo conteggio).

Secondo il mio parere, una legge elettorale democratica dovrebbe permettere a tutti i cittadini la massima facilità di candidarsi, anche come indipendente. In Italia questa possibilità non c’è. E’ concesso soltanto di presentarsi come “indipendente” all’interno di una lista di partito.
Eppure
il metodo ci sarebbe.
Da noi, d’altra parte, non si contano gli imbrogli sulla raccolta delle firme (che sono troppe) e si sorvola sui diversi obblighi dei partiti: in genere, i piccoli ed i nuovi sono messi di fronte a complicazioni dalle quali i grandi partiti sono esentati.


IL FINANZIAMENTO DEI PARTITI
Nel REGNO UNITO il rimborso dei costi elettorali ai partiti è regolato da risoluzioni particolari denominate
Short Money (per la Camera dei Comuni) e Cranborne Money (per la Camera dei Lords).
Sono erogate ai partiti d’opposizione e prevedono anche uno stipendio per il Leader ed il Chief Whip (una sorta di capogruppo) dell’opposizione e per i suoi assistenti.
Una parte del rimborso è variabile e proporzionale ai voti ottenuti perciò, minore è il numero dei voti validi, minore è il rimborso.
Nel 2009-2010 la spesa totale complessiva è stata di 7.815.793 £ (Short Money 6.945.905, Sinn Fein 96.822, Cranborne Money 773.066). Circa 10.000.000 di euro.

In ITALIA, attualmente, il finanziamento pubblico è regolato dalla Legge 157/1999.
L’Art.1 attribuisce ai partiti un rimborso delle spese elettorali diviso in quattro fondi: Senato, Camera dei deputati, Parlamento europeo e Consigli regionali (comma 1).
L'ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari (per l’intera legislatura) alla somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di lire 4.000 per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati (comma 5).
Essendo di 47.000.000 il numero degli elettori (politiche 2008), per Camera e Senato si ottiene (moltiplicando per 8.000) 376.000.000.000 di vecchie lire pari a 194.187.790 euro (per l’intera legislatura).

La normativa è stata modificata dalla Legge 156/2002.
L’Art.2 trasforma in annuale il fondo: dopo le parole “è pari” sono inserite le seguenti: «, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, » e le parole: «lire 4.000» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1,00» (comma 1).
Cioè, sempre per Camera e Senato, 47.000.000 moltiplicato 2 fa 94.000.000 euro l’anno (470.000.000 di euro per l’intera legislatura).
Inoltre, il fondo per il rimborso delle spese elettorali è ripartito tra i partiti e i movimenti che abbiano superato la soglia dell’1 per cento (in precedenza era necessario il 4%) dei voti validamente espressi in ambito nazionale (comma 2).

Infine, con la legge del febbraio 2006 n° 51 che convertiva, modificandolo, il Decreto-legge 30 dicembre 2005, n.273 si è raggiunto il colmo. Con poche parole inserite, con accordo bipartisan, nel decreto “milleproroghe” (un calderone nel quale è facile “nascondere” ogni “nefandezza”). viene garantita l’erogazione del rimborso elettorale per il resto della legislatura anche in caso di scioglimento delle Camere”.
Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti cominciano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV (sebbene interrotta dopo due anni) e alla XVI Legislatura.
Ma vi è di più: tale modifica legislativa, in caso d’ulteriore interruzione della nuova legislatura 2008-2012, permetterebbe addirittura la triplicazione delle prebende.
Un bel conflitto d’interessi: mentre ai parlamentari in carica l’interruzione della legislatura non conviene, per i tesorieri dei partiti sarebbe una bazza.


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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