IL BLOG DI SERGIO VIVI



giovedì 30 novembre 2006

Antenna a scomparsa

Gli italiani ne sanno una più del diavolo!


venerdì 24 novembre 2006

Le ultime tazzine di caffè

Ha scritto il professor Mario Deaglio:
«… gli italiani hanno gradualmente perso coscienza di un fatto fondamentale, e cioè che il settore pubblico continua (e anzi accelera) la propria tendenza a spendere più di quanto incassa e, più in generale, che il paese sta vivendo sopra i propri mezzi e non potrà farlo molto a lungo»
(La Stampa, Evasori dalla realtà, 14 novembre 2006).

Una pensione di 2.723.000 lire pari a 1.406 euro del 2001 è aumentata nel 2006 a 1.561 euro.
Non c’e che dire: un bell’aumento del 11 %, dovuto alle annuali perequazioni automatiche basate sui livelli dell’«inflazione programmata». Allora si continua a spendere? Vorrei tranquillizzare il professore. Chi era in pensione al momento dell’introduzione dell’euro ha già cominciato a smettere.

Il Prof. Deaglio, nei giorni della presentazione della Finanziaria 2007, scrisse un articolo in cui esprimeva in “numero di tazzine di caffè” le differenze che la finanziaria avrebbe comportato per i contribuenti. Anni prima Eugenio Scalfari aveva usato “i cappuccini”. Avendo, pertanto, l’avallo di due così eminenti personalità, è lecito analizzare la suddetta pensione prendendo come moneta di riferimento “la tazzina di caffè”. I dettagli del calcolo si possono vedere nella tabella sottostante:



Si potrebbe obiettare che, prendendo come riferimento il costo di qualche altro bene, si otterrebbero risultati diversi. Per esempio, con il prezzo della frutta e verdura o della carne, oppure di una cena al ristorante, oppure con i prezzi delle abitazioni. Ormai, vox populi, 1 euro uguale 1.000 lire.
Siccome il tasso di cambio euro / lira (1936,27) è una costante e gli indici di perequazione variano di poco sotto ad un valore massimo, il meccanismo ha funzionato nello stesso identico modo per tutti coloro che erano in quiescenza all’atto dell’introduzione dell’euro, qualunque fosse l’importo della loro pensione. Per cui si può affermare:

Se non la Patria, almeno gli enti previdenziali sono mezzi salvati.
Questi continuano, infatti, ad incassare i contributi, con aliquote immutate, dai lavoratori dipendenti (gli stipendi dei quali sono aumentati un po’ più delle pensioni e, col tempo, destinati ad aumentare ancora) e paga pensioni ferme al 2001.

Si è trattato di una vera riforma strutturale, anche se occulta. Il risultato, infatti, è lo stesso di quello che si sarebbe ottenuto se nella finanziaria del 1997 si fosse proposto di abbassare gradualmente tutte le pensioni, del 30 %, nei cinque anni successivi. Con la differenza che il povero Presidente del Consiglio avrebbe fatto la fine di Giulio Cesare, e il suo Ministro delle Finanze n’avrebbe letto l’orazione funebre sulla soglia di Palazzo Chigi.
Va da sé che la colpa di quanto successo -per il centrodestra- è del governo Prodi che non ha imposto il cambio con l’euro a 1500 lire, mentre -per il centrosinistra- è del governo Berlusconi che non ha controllato gli aumenti dei prezzi. Il fatto resta la diminuzione del potere d’acquisto che per i pensionati è senza rimedio. La colpa, ovviamente, non è di nessuno.

E’ il MERCATO bellezza!
L’attuale generazione di pensionati subisce questa vicissitudine come altre generazioni hanno subito la guerra del ’40, o beneficiato del miracolo economico del ’60, o come i giovani subiscono la precarietà attuale.
Il mercato, che non teme l’impopolarità, è il riformista più efficace che esista: appena trova un varco non c’è diga che tenga.
Per settant’anni è stato imbrigliato in Unione Sovietica poi … è dilagato.
I comunisti cinesi, con la saggezza che contraddistingue questo popolo da cinquemila anni, hanno capito e si sono adeguati. Bertinotti, quando ha visitato il rosso impero, è rimasto basito. Tornato in patria, si è convertito anche lui al mercato … delle poltrone. Tra l’incomprensione dei suoi militanti.

Con la globalizzazione, le politiche dei governi nazionali sono destinate a perdere rilevanza sempre di più. Si possono affannare fin che vogliono ma, assieme ad una più o meno buona amministrazione, finiscono per produrre molte rotture di scatole ai cittadini e qualche immancabile “nefandezza”.

Pur consapevoli che, prima o poi, ci sarà restituito il fiscal drag [pagina 203 delle 281 del programma dell’Unione] e fiduciosi che quanto incassato dalla lotta all’evasione sarà tramutato in riduzione delle tasse [finanziaria 2007], lasciateci evadere dalla realtà per gustare in pace le ultime tazzine di caffè … macchiato caldo, per favore, e con una spruzzatina di cacao!


domenica 12 novembre 2006

Le evasioni barbariche e la camicia logora



Secondo autorevoli membri dell’attuale Maggioranza, eletta da una metà degli elettori, quasi una metà degli italiani evadono le tasse compiendo, così, un furto all’altra mezza collettività.
Secondo una rispettabile corrente di pensiero, quella libertaria, (che trova interpreti anche fra volenterosi esponenti della stessa maggioranza) le tasse sono, al contrario, un furto dello stato nei confronti dei cittadini.

«A rigor di logica, infatti, è lo Stato, non l'evasore fiscale, a prelevare ricchezza dalla comunità nella quale essa viene prodotta. Se ne impossessa per restituirla, certo, sotto forma di servizi, ma teoricamente gli evasori fiscali non rubano nulla, trattengono ciò che hanno legittimamente guadagnato. Lo Stato, dovremmo riabituarci a quest'idea, non è "la Comunità". E' nella migliore delle ipotesi una persona giuridica cui i membri di una comunità cedono poteri e risorse per averne in cambio maggiori libertà e i servizi strettamente necessari; nella peggiore, e più in concreto, lo Stato risponde ai nomi e ai cognomi di un gruppo di persone che tende strutturalmente all'autoconservazione, all'espansione dei propri poteri e alla tutela dei propri interessi».
da un post di JimMomo (al secolo Federico Punzi della direzione della RnP)

In mezzo c’è la gente che, incurante di peccati capitali e ignara di correnti di pensiero, tra una tornata elettorale e l’altra, si ritaglia i suoi spazi di sovranità legittimando, con la forza del numero e «in modo democraticamente diretto», comportamenti naturali atti a correggere le storture del sistema.
Trattenere parte dei guadagni è considerato al massimo un’inadempienza contrattuale certamente meno grave che quelle commesse dal Parlamento quando elude o disattende gli obblighi derivatigli dai referendum vinti dal Popolo Sovrano.

[ Ad esempio, il referendum per l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti – aprile 93 – 90,3% di SI. Ad esempio, il referendum per l’abolizione del ministero dell’Agricoltura - aprile 93 – 70,2 % di SI. Ad esempio, il referendum per avviare la privatizzazione della RAI - giugno 95 – 54,9% di SI ].

Alcune cifre all’ingrosso, secondo le dichiarazioni 2004
Numero dei contribuenti 40.581.911
Imponibile Irpef dichiarato circa 700 miliardi di euro
Entrate dell’Irpef circa 210 miliardi di euro
Imponibile evaso stimabile in 250 miliardi di euro
Tasse evase stimabili in 75 miliardi di euro

Tasse evase “secondo Santoro” 100 miliardi di euro
Tasse evase dai possessori di Euro1 110 miliardi di euro
Tasse evase dai possessori di Euro2 120 miliardi di euro
Tasse evase dai possessori di Euro3 130 miliardi di euro
Tasse evase dai possessori di Euro4
140 miliardi di euro
Tasse evase dai possessori di Euro5 150 miliardi di euro
Tasse evase dai possessori di EuroENNE …
ma vaff …
Tasse evase dai possessori di SUV 200 miliardi di euro
Tasse evase dai turisti del Billionaire 300 miliardi di euro
Tasse evase dai turisti di Capalbio meno di 100 euro
Tasse pagate dai cittadini di San Marino ZERO euro

Con beneficio d’inventario, però. Secondo Panorama N.46/47, pag.23, del 24 novembre 2005, l’Erario nel 2004 ha accertato e messo a ruolo circa 20 miliardi d’evasione fiscale ed ha incassato 923 milioni di euro. Nei primi otto mesi del 2005 ha accertato quasi 21 miliardi ed ha incassato 707 milioni.
Fra 250 miliardi stimati e 25 miliardi accertati c’è una bella differenza. Anche tra i 75 miliardi di tasse evase stimate e il miliardo incassato c’è una bella differenza. L’onorevole Di Pietro ha dichiarato -sempre “da Santoro”- che la Guardia di Finanza è molto efficiente, purtroppo sono i processi che durano troppo.

Per venirne a capo il viceministro Visco proclama a gran voce (cedendo alla “sindrome Tettamanzi”) che il problema dell’evasione è quello capitale per i destini del Paese, minaccia tuoni e fulmini e assicura che in cinque anni lo risolverà.
Mutuando Arthur Schopenhauer, compila «L’arte di ottenere ragione, esposta in 55 stratagemmi» e confeziona una finanziaria tuttora in progress, tutta giocata su detrazioni e deduzioni varie, atta a distribuire qualche briciola ai “più deboli” e a vantarsi di realizzare, così, la giustizia sociale.

D’altra parte, questo modo di amministrare è tipico di Visco.
Ministro delle Finanze ininterrottamente dal 17 maggio 1996 al 19 aprile 2000, il Nostro vantò la notevole semplificazione del fisco conseguita negli anni della sua gestione. Peccato che, in quattro anni, il numero delle istruzioni per la compilazione del Modello 730 fosse passato da 19 a 33, le voci dell'appendice da 26 a 38, le tabelle dell'appendice da zero a 7, mentre le pagine del fascicolo che le contiene fossero passate da 16 nel 1996 a 56 nel 2000.

56 PAGINE D’ISTRUZIONI PER COMPILARE UN MODULO DI 2 PAGINE!

Se per Schopenhauer lo stratagemma principe è quello di offendere l’avversario per fargli perdere le staffe (argumentum ad personam lo chiama), analogamente quello di Visco è di terrorizzare il negoziante con lo scontrino fiscale e di offendere il cliente che, quando ha pagato ciò che compra, non deve più rendere conto a nessuno.

Anni fa, regnante Visco, è successo che un negoziante che non aveva rilasciato “il certificato” alla madre di un bambino cui aveva regalato una caramella fosse pesantemente multato. Il ragionamento è: assieme alla caramella, regali anche il valore aggiunto della caramella che è dello stato e questi non fa regali ai bambini. Che tristezza, altro che il po’ di felicità promesso da Prodi! Allora, perché lo stato permette che si facciano i saldi? Se una camicia era in vendita a 40 euro poi la mettono in liquidazione a trenta, il fisco non ci rimette 1,66 euro di valore aggiunto?

Sempre, regnante Visco, un parrucchiere fu multato dalla guardia di finanza perché, nel suo negozio, aveva pettinato propria madre senza rilasciarle lo scontrino. Nello stesso periodo, un eminente rappresentante delle istituzioni si sentì male nel suo ufficio e fu soccorso da un parlamentare-medico che naturalmente non si fece pagare le cure. La differenza col caso del parrucchiere, puramente formale, era che la prestazione del deputato non era avvenuta nel suo ambulatorio, ma si sa che i medici operano dove c’è bisogno.

Oggi, stando a quanto riportato su Panorama n° 43 del 26 ottobre 2006, il senatore ds Ignazio Marino, trapiantologo di fama mondiale e presidente della commissione Sanità del Senato, pago della sua indennità parlamentare visiterebbe gratis ogni sabato almeno cinque pazienti (e la lista è già lunga). Siccome è lecito stimare l’onorario di tale celebrità sopra gli ottanta euro, lo stato ci rimetterebbe su ogni visita almeno la marca da bollo (più le tasse sul mancato pagamento dell’onorario). Se i fatti si svolgessero effettivamente come riportato dal settimanale, c’è qualcuno che troverebbe il comportamento del senatore civicamente riprovevole?

Con altrettanta naturalezza, molta gente tace qualcosa al fisco, ritenendo che questi non debba entrare in quello che la gente considera un suo spazio privato. Si va dalla sarta che arrotonda la magra pensione allargando pantaloni o cambiando una zip rotta, al dipendente pubblico che per pagare il mutuo il sabato si trasforma in imbianchino, ai professori che danno lezioni private, all’infermiera oberata dai turni che affida le pulizie della casa ad un’anziana pensionata senza pagare i contributi all’Inps, ai due coniugi che gestiscono una piccola rosticceria e che, a mezzogiorno, pranzano assieme ai pochi clienti senza autorilasciarsi lo scontrino. C’è anche –inaudito- chi torna a praticare il primitivo baratto.

Tutti barbari, secondo i puri e duri, che non hanno il minimo senso dello “stare insieme” e che andrebbero rieducati nei campi di lavoro. I recidivi, unica eccezione a «nessuno tocchi Caino», esecutati come in Cina.

Dai bassi redditi che denunciano si vuole per forza desumere che i negozianti rilasciano uno scontrino su cento. Secondo Il Venerdì di Repubblica n° 968-969-970 (paghi UNO prendi TRE) del 20/10/2006, pagina 46, su 8101 comuni italiani 5835 sono sotto i 5000 abitanti. Nel 93% di questi piccoli comuni (dati Formez) c’è almeno un alimentari, un bar, una tabaccheria, nel 85% c’è almeno una farmacia, nel 63% un negozio di abbigliamento, nel 58,6% un distributore di carburante e nel 51% un albergo. Quanto possono guadagnare questi esercizi? Spesso sono condotti da marito e moglie, a volte c’è anche un figlio, e il reddito va diviso per due o per tre. La fuzzy logic, poi, c’insegna che è sempre fuorviante spaccare la realtà in due con un numero secco: perché non considerare anche i comuni sotto i 6000 o sotto i 7000 e così via. Se poi consideriamo i comuni con 10000/15000 abitanti, nei quali tre alimentari si trovano nella condizione dell’unico alimentare del paese sotto i 5000, si capisce come sia alto il numero dei piccoli esercizi che stentano a vivere. Tutti sono liberi di aprire un’attività: quanti dipendenti col posto fisso sono disposti a rischiare?

Poi ci sono “quelli della partita IVA” che non rilasciano la fattura e che denunciano meno dei loro dipendenti. E’ sempre avidità di guadagno o c’è qualche ragione? Riprendiamo l’esempio della camicia acquistata in liquidazione a trenta euro (25 più 5 di IVA). Siccome non tutti posseggono la manualità necessaria (come disse l’ex ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer di coloro che hanno frequentato il liceo), capita che, dopo averla lavata nella lavabiancheria, la portano a stirare al lavasecco. Tre euro iva compresa. Essendo l’aliquota del venti per cento si pagano 0,50 euro di valore aggiunto. C’è un però. A forza di aggiungere valore il collo e i polsini si logorano e, quando dopo quaranta stirature il valore aggiunto della camicia è diventato uguale al prezzo iniziale (25 euro), la devi buttare.

Benedetti cultori della triste scienza, quello della stiratura non è un valore aggiunto, ma un tentativo di ripristino del valore originario della camicia. Lo stesso discorso vale in tante altre situazioni connesse al vasto settore della manutenzione. L’aliquota del 20% è esagerata. Poi ci si meraviglia se clienti e artigiani sono tacitamente d’accordo nell’ignorare l’esistenza della fattura. Questa stortura andrebbe corretta introducendo l’IVR, imposta sul valore di ripristino, con un’aliquota non superiore all’1%.

E’ stato detto che «al nord si evade per autodifesa, al sud si evade per disperazione». Nelle regioni del sud, purtroppo, la maggioranza della popolazione deve convivere con il fisco, con la mafia, l’‘ndrangheta, con la camorra (O’Sistema), colla paura e spesso con i rifiuti. Lì, i negozianti hanno sempre pagato il pizzo: sotto il fascismo, sotto la democrazia cristiana, nella prima e nella seconda repubblica. Una grossa fetta d’evasione fiscale è dovuta all’esistenza di questo “stato nello stato”.

CONCLUSIONI

Cento miliardi di tasse evase non sono credibili. Non è vero che metà degli italiani siano evasori incalliti. Non è vero che al sud siano tutti mafiosi. Non è vero che dall’ammontare dell’evasione dipenda il destino del Paese. Purtroppo il problema è il declino industriale, l’avere perso la chimica, l’avere perso i computer Olivetti, l’avere perso l’informatica (per liberalizzare quest’ultimo settore, il decreto Bersani vieta alle aziende degli enti locali di operare nel privato). E’ non investire in ricerca e sviluppo. E’ l’invasione dei prodotti cinesi e del software indiano.

L’evasione si riduce perseguendo un fisco amico, semplificando le norme e le procedure, correggendo le storture e smettendo di prendere di mira la ricchezza.

«I criteri di valutazione morale e quelli di valutazione sociale sono spesso divergenti. La ricchezza - che secondo i criteri di valutazione morale della cultura comunista è immorale - diventa morale secondo i criteri di valutazione sociale di una società capitalista. Confonderli è un errore. Equiparare la ricchezza individuale con l’evasione fiscale è stato devastante per l’immagine del governo. Da combattere è l’evasione fiscale; non la ricchezza». (Piero Ostellino, Corriere della Sera, 2 novembre 2006)

L’evasione a tolleranza zero, che è quella derivante dagli evasori totali, dal sommerso organizzato e dalle attività criminali, si combatte introducendo il federalismo comunale, accelerando i processi, debellando le mafie, costruendo magari un muro tutt’intorno a San Marino. Altro che cinque anni!

Il modo con cui questo governo ha redatto la finanziaria ha diviso profondamente il centrosinistra e i partiti che lo compongono. Dicono che Prodi ed Enrico Letta si siano molto arrabbiati per una dichiarazione di Riccardo Illy, presidente del Friuli Venezia Giulia, secondo la quale «c’era una fiammella di ripresa dell’economia partita dal Nord d’Italia, che il governo Prodi è riuscito a spegnere con la sua Finanziaria facendoci sopra la pipì». (Alberto Statera, AFFARI & FINANZA, 6 nov 06)

Questa finanziaria, zibaldone dalle molteplici effimere stesure, ha inferto soprattutto un duro colpo alle residue speranze di far nascere il Partito Democratico che, a forza di lavare e stirare -anche se si arrivasse ad usare il ferro da stiro Number One, con piastra centrale in veltronite e bordo laterale in rutellite- sembra avviarsi a diventare una camicia logora, senza neppure conseguire quel valore aggiunto costituito dall’adesione dei tanti possibili elettori che aspettano, sempre più trasecolati, nel limbo tra destra e sinistra. Invece del partito Nuovo auspicato da Fassino nascerà, più banalmente, soltanto un nuovo partito.


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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