IL BLOG DI SERGIO VIVI



sabato 26 maggio 2007

Le spese della casta: un caso

300mila euro sarebbe l’ammontare messo, finora, a bilancio dal Comune di Bologna per le sue missioni all’estero. Parte di questi soldi sarebbero stati stanziati per colui che la Repubblica chiama a volte ambasciatore a volte ministro degli esteri di Palazzo d’Accursio.
La storia (non petita) l’ha raccontata a puntate la Repubblica nel corso degli ultimi due anni.
Il primo articolo è apparso nel luglio del 2005:



Il secondo articolo è del maggio 2006:

Nel terzo articolo, dell’agosto 2006, apprendiamo che, probabilmente in vista del Partito Democratico, anche quelli della Margherita sono stati ammessi a partecipare ai viaggi.


Non ho mai capito perchè sia stato sollevato questo caso. Repubblica è un giornale che rifugge dal qualunquismo e dall'antipolitica: avrà avuto i suoi buoni motivi. Poi, perchè preoccuparsi? Il Decisore infallibile, queste spese, se le può permettere. Date uno sguardo alla figura qui sotto. Dove il grafico del giornale ha evidentemente voluto rappresentare la valigia dei consiglieri globe trotter, piena di euro. Dei cittadini.

Primo: Cofferati, secondo: Veltroni … due risorse per i cittadini e per il Partito Democratico(quarantaquattro gatti, in fila per tre … )


venerdì 25 maggio 2007

Luca Cordero di Montezemolo

Urge trascinare il Paese verso “la crescita”.
Occorre incentivare, tra l’altro, la crescita demografica, altrimenti fra qualche decina d’anni …
Luca Corsero (non è un lapsus freudiano, ma il parto del correttore ortografico di Windows) di Montezemolo faccia qualcosa per modificare la legge Biagi perché sia data l’assistenza durante la gravidanza alle giovani lavoratrici “a progetto”. Sarebbe certamente ascoltato.
Poi, scenda pure in campo. E buona fortuna!


giovedì 24 maggio 2007

Le durantarie

Il vento dell’indignazione popolare contro il Palazzo sta aumentando d’intensità.
I politici cominciano a sentirsi braccati.
E allora, per cercare di metterci rimedio, tutti a dire che bisogna ridare ai cittadini “la scelta dei candidati”.
Ma gli elettori non si accontentano di scegliere prima delle elezioni, ma vogliono farlo durante.
Non sanno che farsene delle primarie, vogliono “le durantarie”.
Vogliono scegliere chi eleggere, non chi candidare.

I partiti, pertanto, dovrebbero mettersi d’accordo per scrivere una nuova legge elettorale condivisa.
Ma sono impotenti perché i grandi partiti vogliono una legge che faccia fuori quelli più piccoli.
Questi giustamente pongono il veto.
Basterebbe reintrodurre un proporzionale opportunamente corretto, reintrodurre il voto di preferenza e cercare di risolvere il problema della governabilità in sede parlamentare.

Si potrebbe prendere esempio dal modello in vigore nel Cantone Ticino. Dove è previsto il proporzionale e la scheda “con o senza intestazione della lista”.

Tutti i partiti avrebbero interesse a non opporsi ad un modello siffatto. I piccoli perché conserverebbero la possibilità di essere rappresentati in Parlamento. Basterebbe conquistare qualche quoziente.
I grandi, perché, come dimostrano il caso del cantone svizzero, con questo sistema il numero dei partiti che ottengono rappresentanti è minore di quello dei partiti che si presentano alle elezioni.
Nell’aprile scorso nel Cantone Ticino, per il Gran Consiglio hanno ottenuto seggi soltanto cinque partiti su tredici. Per il Consiglio di Stato hanno ottenuto seggi soltanto quattro partiti su undici.


martedì 15 maggio 2007

Il consumo dell'acqua

Post modificato alle ore 19

Qualche sera fa, il Telegiornale La 7 ci ha fatto sapere che l'agricoltura e' responsabile di circa il 70% (cito a memoria) dei consumi mondiali di acqua. L'industria invece e' responsabile del 20% dei consumi, mentre l'uso domestico rappresenta solo il 10%.

Per avere una conferma ho cercato altri dati in internet.
Nel sito della FAO si trova, ad esempio, questo documento dal titolo Acqua per le Colture che riporta tabelle e grafici interessanti.
La tabella sottostante conferma i dati del telegiornale.




La popolazione mondiale è cresciuta da 2,5 miliardi del 1950 a 5,722 miliardi del 1995 con un incremento del 129%. In questi 45 anni il prelievo mondiale di acqua è passato da 1400 kmc a 3600 kmc, con un incremento del 157 %.
Come era intuibile, il prelievo di questa risorsa dipende dunque dall’incremento della popolazione.

Mentre i prelievi pro capite e la percentuale del totale sono rimasti pressoché stabili per l’Agricoltura, quelli dell’Industria e degli Usi civili/domestici sono aumentati (al minimo del 43%, al massimo del 66%).
Anche i cinesi e gli indiani hanno iniziato ad usare l’automobile e ad avere le docce nelle case.





«Le figure evidenziano l'importanza dell'agricoltura, nella sfida consistente nel fare in modo che l'acqua disponibile sulla terra basti alle necessità del crescente numero d'utenti. L'acqua necessaria ai raccolti ammonta a 1 000 - 3 000 m3 per tonnellata di cereali mietuti. Visto da un'altra prospettiva, occorrono 1 - 3 tonnellate d'acqua per far crescere un kg di riso. Una buona gestione della terra può ridurre in maniera significativa il quantitativo d'acqua necessario a produrre una tonnellata di cereali, sia che si tratti di acqua piovana sia che si tratti d'irrigazione».

Così come nella produzione del CO2 si tende a colpevolizzare soltanto il minore dei responsabili, cioè l’automobile, nel consumo dell’acqua si tende –da parte degli ambientalisti- a colpevolizzare l’uso civile/domestico.

Se, però, distinguiamo tra prelievo e consumo di acqua, il grafico sottostante mostra chiaramente che se nel 1995 tutti i 5,7 miliardi di abitanti della terra si fossero astenuti da qualsiasi consumo domestico (non si fossero mai lavati per un anno, non avessero lavato panni e stoviglie, non avessero cotto la pasta, avessero bevuto solo acqua piovana et cetera, il risparmio di acqua avrebbe raggiunto a malapena il 3% del totale consumato.





Non è comunque il caso di disattendere i consigli degli ambientalisti: usiamo pure lo sciacquone a due pulsanti; montiamo pure nei rubinetti i riduttori di flusso che mescolano aria all’acqua, tenendo però presente che, se dobbiamo riempire una pentola con tre litri d’acqua per cuocere gli spaghetti, sempre tre litri sono. Stabiliamo, magari, per legge –come si fa con le targhe alterne- un giorno della settimana nel quale cuocere mezzo chilo di riso in due litri di latte, così risparmiamo due litri d’acqua dopo averne impiegato una tonnellata per farlo crescere.



Ma non facciamoci prendere da inutili sensi di colpa. Se siamo abituati, d’inverno a fare un bel bagno caldo, invece della doccia, non rinunciamoci. Se, d’estate, siamo abituati a far scorrere per qualche minuto l’acqua del rubinetto per riempire la caraffa di acqua più fresca, continuiamo a farlo.

Per i paesi a rischio di crisi idrica, sarebbe più serio che le tante multiutility (ad esempio Hera che in Emilia e Romagna estende ormai le sue attività fino alla riviera romagnola) cominciassero a preoccuparsi di installare qualche impianto di dissalazione dell’acqua marina, come già hanno fatto i paesi del Golfo Arabo.

Anche per evitare che qualche pazzo, nel prossimo futuro, arrivi a proporre, per legge, la limitazione delle nascite. Si prevede che nel 2050 la popolazione mondiale sarà salita a 9,2 miliardi. Siccome il nostro corpo è fatto per il 65% di acqua, considerando un peso medio di 40 kg, ci sarà, solo per questa ragione, un prelievo di circa (40 x 0,65 x 2,9 miliardi) 75,4 miliardi di litri, cioè 75400 km cubi. Chissà da dove salta fuori? Chissà perché l’uomo si è messo a fare i conti in tasca alla natura?


venerdì 11 maggio 2007

Un voto specchio della gente

Ha scritto José Ortega y Gasset: «La salvezza delle democrazie, di qualsiasi tipo o specie esse siano, dipende da un aspetto tecnico di scarso rilievo: il sistema elettorale. Tutto il resto è secondario».
Da segnalare, sulla Stampa di oggi, l'articolo del professor Brunello Mantelli, docente di Storia dell'Europa presso la Facoltà di Lettere e Filosofiadell'Università di Torino, sull'esigenza che la questione della rappresentanza sia presente nel dibattito politico, e non sia prevaricata dalla preponderanza assunta dalla «governabilità».


giovedì 10 maggio 2007

Il modello elettorale ticinese

Modello tedesco, modello francese, … Pare che per scrivere la nuova legge elettorale sia necessario fare riferimento a questo o quel modello europeo.
Perché non prendere in considerazione anche qualche modello extracomunitario?
Ad esempio, navigando nel web per trovare riscontri a quanto ho scritto nella mia proposta di riforma, ho trovato quello ticinese.

Il Cantone Ticino è una repubblica democratica di cultura e lingua italiane.
Il Cantone è membro della Confederazione svizzera e la sua sovranità è limitata soltanto dalla Costituzione federale.

Le ultime elezioni cantonali si sono tenute l’1 aprile scorso.
Si dovevano eleggere i novanta membri del Gran Consiglio, a cui concorrevano le liste di tredici partiti (tra parentesi i seggi attribuiti):


Ticino pulito
Partito Socialista (18)
Partito Liberale Radicale Ticinese (27)
UDC – SVP (5)
Lega dei Ticinesi (15)
Unione Democratica Federale / UDF Ticino
Partito Popolare Democratico (21)
Liberali Nazionali
I Verdi (4)
Il Guastafeste
Partito del Lavoro e Giovani progressisti
Movimento per il socialismo
Basta Divieti

Si dovevano eleggere anche i cinque membri del Consiglio di Stato, a cui concorrevano soltanto DIECI partiti (tra parentesi i seggi attribuiti):

Ticino pulito
Partito Socialista (1)
Partito Liberale Radicale Ticinese (2)
UDC - SVP
Lega dei Ticinesi (1)
Unione Democratica Federale / UDF Ticino
Partito Popolare Democratico (1)
Liberali Nazionali
I Verdi
Il Guastafeste


L'elezione del Gran Consiglio e del Consiglio di Stato avviene in un circondario unico con il sistema proporzionale (artt. 35 Cost cant, 57 cpv. 2 , 72 e 80 LEDP.)

Espressione del voto(artt. 37 e 44 LEDP)

L’elettore può esprimere un numero di preferenze ai candidati pari al numero dei seggi da attribuire (90 voti preferenziali ai candidati per il Gran Consiglio e 5 voti preferenziali ai candidati per il Consiglio di Stato) sia votando la scheda con o senza intestazione della lista.

Con intestazione della lista
L'elettore vota di proprio pugno esprimendo il voto per la lista prescelta: apponendo una croce nella casella che affianca la denominazione (sigla) della lista prescelta. Può esprimere voti preferenziali sia a candidati della lista prescelta sia a candidati di altre liste, appone una croce nelle caselle che affiancano i nomi dei candidati prescelti.

Nella scheda con intestazione di lista, se i voti preferenziali superano il limite massimo consentito, tutte le preferenze sono annullate: la scheda rimane comunque valida e viene considerata quale scheda "secca".

Senza intestazione della lista
L’elettore deve porre una croce nella casella “Senza intestazione”.
L'elettore vota di proprio pugno esprimendo il voto a singoli candidati, senza dare il voto ad una lista, apponendo una croce nella casella che affianca il nome dei candidati prescelti. L’omissione della croce nella casella “Senza intestazione” non è motivo di nullità della scheda.

Nella scheda senza intestazione della lista, se i voti preferenziali superano il massimo consentito, le preferenze sono cancellate e la scheda è considerata nulla.

Dal sito Repubblica e Cantone Ticino


martedì 8 maggio 2007

Gerontocrazia

Ad un lettore che chiede se è normale che in Italia i politici si ritirino non prima degli ottant’anni, Sergio Romano, termina così la sua risposta:
«… fino a quando i partiti saranno più importanti dei gruppi parlamentari e i parlamentari continueranno a essere designati dalle segreterie dei partiti, l'Italia continuerà a essere una gerontocrazia».

Romano, però, ritiene che non sempre l’età avanzata sia un handicap per la vita politica:«… le leggi con cui si limitano i mandati parlamentari o istituzionali possono essere in qualche caso contrarie al buon senso. Vi sono circostanze in cui un "vecchio arnese " della politica può essere utile al suo Paese».

Se fosse accolta la mia proposta di legge elettorale, i gruppi parlamentare sarebbero privilegiati rispetto ai partiti. I parlamentari non sarebbero scelti dalle segreterie dei partiti. Soprattutto gli elettori sarebbero liberi di votare anche “i vecchi” che lo meritano e costoro, se eletti, potrebbero andare giustamente fieri della loro riconferma.

Quello della “giovinezza dei candidati”, assieme alle quote rosa e assieme al “proliferare dei partiti” sono fra i tanti luoghi comuni imposti dal politically correct.


sabato 5 maggio 2007

Inciviltà e referendum

Ha ragione Francesco Merlo, sulla Repubblica di ieri, a stigmatizzare il fatto che i media abbiano posto la sordina “alla sola violenza, reale e fattuale, del Primo maggio: quella contro il disarmato e disarmante Mario Segni”, in piazza san Giovanni a Roma.
«… contro un uomo che da venti anni coltiva il sogno di cambiare la sostanza degli italiani cambiando la loro forma elettorale. E che adesso, dopo essere diventato nonno, invece di fare il referendario in pensione, e magari anche il padre della patria, è di nuovo per strada a raccogliere firme, a fare cioè la cosa più ingenua che si possa fare in politica, che è rapporto di forze, è potenza. … E’ stato picchiato Mario Segni, l’uomo che incarnò per un momento l’alta illusione collettiva di trasformare tutti i politici italiani, compreso se stesso, in agili e leggeri trasvolatori, in tanti Icaro a cui attaccare le ali di cera della modernità, del mito anglosassone, della civiltà del maggioritario, dell’alternanza e della stabilità».

A Mario Segni la solidarietà di tutti gli uomini di buona volontà.
Evviva l’istituto del referendum!

~ ~ ~ ~ ~

Ieri, imbattutomi in un banchetto sotto il portico di palazzo d’Accursio, anche io ho messo la mia firma, anche se non mi soddisfano gli obiettivi –obbligati- del referendum. E’, in ogni modo, uno strumento efficace per costringere i politici a cambiare la legge.

Rivoglio il voto di preferenza: per scegliere non un singolo, ma alcuni nomi. Non su una lista territoriale, ma su un elenco nazionale. Non solo dalle liste dei partiti, ma anche da elenchi d’indipendenti.

Sarò controcorrente, ma credo che l’unico metodo democratico per eleggere i detentori del potere legislativo sia il proporzionale puro.

Nulla impedisce che, in parlamento, si possa perseguire la sintesi delle posizioni politiche e si dia vita ad un potere esecutivo stabile. Basta applicare un pò di matematica elementare.


Contatti


Almeno un’occhiata, ogni tanto ce la danno.
Sicuramente quella di un impiegato. Da non meno di 5mila euro al mese, però.
Un segnale sufficiente a dare un po’ di vigore alle nostre velleità di blogger.


venerdì 4 maggio 2007

La nuova Telecom

La sera del 28 aprile 2007 è stato finalmente messo un punto fermo alla vicenda Telecom.
La società si è liberata della gestione di almeno tre dei quattro rappresentanti del “capitalismo straccione” e della “scatola cinese” denominata Olimpia.
Al posto di questa, Generali, Mediobanca, Intesa S.Paolo e Benetton assieme alla spagnola Telefonica ne hanno immediatamente costituita una nuova chiamata Telco.

Pirelli & C ha incassato 3,3 miliardi di euro dalla vendita dell’80% di Olimpia
Benetton ha incassato 800 milioni dalla vendita del restante 20%
Totale 4,1 miliardi di euro.

Una volta formalizzata la vendita,
Benetton reinvestirà 400 milioni di euro
Intesa S.Paolo investirà 500 milioni di euro.
Generali e Mediobanca apporteranno le loro azioni già possedute, senza sborsare un euro
Telefonica pagherà circa 2,4 miliardi di euro (pagando le azioni intorno a tre euro, invece dei 2,2 quotati in borsa).
Totale 3,3 miliardi di euro

Telco dovrà accendere un nuovo prestito di 800 milioni per arrivare a pagare i 4,1 miliardi pattuiti
e si accollerà anche i 2,6 miliardi di debiti presenti in Olimpia.
A noi poveri mortali sembrano affari del cavolo. Uno si chiede: ma Telefonica è per caso una società di beneficenza?

Non proprio. Il giorno dopo, tramite un comunicato definito “sibillino” dai giornali filogovernativi, la società spagnola ha annunciato di avere:
un diritto di prelazione sulla vendita di azioni della nuova società;
un diritto di veto sulla modifica dell’azionariato, sulla politica dei dividendi e sulle dismissioni.
Per determinate decisioni servirà la maggioranza qualificata dei due/terzi, per questo dovrà esserci anche l’accordo di Telefonica.

Paradosso. Se si dovesse verificare la confluenza in Telco dei due pacchetti di azioni Telecom possedute da Generali e Mediobanca, l’assetto proprietario varierebbe come rappresentato nel grafico 2 sottostante. Telefonica perderebbe il suo diritto di veto, superando gli altri soci –anche se di poco- la maggioranza dei due/terzi. E’ da prevedere che proprio in quell’occasione Telefonica porrebbe il veto alla confluenza di Generali e Mediobanca, se non accompagnata dall’ingresso di nuovi soci graditi agli spagnoli.



martedì 1 maggio 2007

Le primarie "embedded"

Primarie: una testa, un voto
Elezioni: un candidato, un partito

Il tema delle primarie ha conquistato, ormai, un posto di rilievo nel dibattito interno al centrosinistra. Ma è diventato da subito anche un motivo di divisione.
Così ad Arturo Parisi che, nell’ottobre del 2005, sosteneva che «le primarie hanno fatto nascere la più grande organizzazione politica d’Europa», Franco Marini replicava (sulla Stampa del 22 novembre 2005): «Fare un’affermazione del genere indica un vizio, forse non voluto: l’accettazione di una visione plebiscitaria della politica. C’è il grande evento, si vota per il leader, si cancellano i partiti, si instaura un rapporto diretto con il popolo. Ma questo è proprio quello che aborriamo, la personalizzazione della politica. Questo è berlusconismo ... Noi non dobbiamo commettere l’errore di eliminare le strutture portanti della democrazia (i partiti). Dobbiamo invece coniugare la vita di queste strutture con le novità e l’apertura verso i nuovi gruppi dirigenti».

In una lettera, inviata alla Repubblica il 22 aprile 2007, Romano Prodi ritiene fondamentale per il successo del Partito democratico affrontare e consolidare alcuni punti programmatici a cui guardare come a delle linee guida essenziali. Dopo “il bisogno di Europa che il Paese ha”, mette al secondo posto il tema delle “primarie”.

«Inoltre, senza evocare ancora una volta “lo spirito delle primarie”, dobbiamo però trarre da quella esperienza un grande insegnamento, un segnale che quella domenica di ottobre ci è arrivato chiaro e forte e che non possiamo perdere: la politica del nuovo secolo è partecipazione ed ha successo solo in quanto è partecipata. Dobbiamo quindi inventare nuovi modi per allargare il coinvolgimento dei cittadini, in una dialettica dell’inclusione e della condivisione tale da fidelizzare il loro consenso».

Nell’ottobre del 2005, commentando le primarie, Prodi aveva detto:

«… Più di tre milioni di italiani ci hanno detto che vogliono contare di più per decidere il loro futuro. Ci hanno detto che hanno speranza e vogliono cambiare. La democrazia si difende con la democrazia e noi l'abbiamo fatto con le primarie. Insieme dobbiamo dare gambe e cuore a questa speranza …».

Cosa si aspetta, allora, a dare gambe alla speranza ed a inventare nuovi modi?
Fatti, non parole.
Ma non per fidelizzare il consenso al proprio partito, ma per dare a tutti i cittadini la possibilità di essere eletti, ed agli elettori la possibilità di scegliere i candidati col voto di preferenza.

La contraddizione più stridente dell’attuale sistema politico è, infatti, il clamore che si fa sul bisogno di primarie, nel deserto di proposte per il ritorno al voto di preferenza.

Commentando, giovedì 5 aprile 2007 su Avvenire, la “bozza Chiti” e la “bozza Calderoli”, lo spiega bene Marco Tarquinio:
«…C'è però anche un'altra coincidenza tra quelle due ipotesi di lavoro, che dovrebbero correggere le storture delle norme attuali. E cioè la conferma dell'abolizione totale del voto di preferenza. Una coincidenza tanto impressionante quanto incredibilmente sottaciuta. Evidentemente l'impossibilità per gli elettori di intervenire sulle liste dei candidati, esprimendo la propria scelta, non è considerata dai "riformatori" di entrambi i poli un problema da risolvere. O, forse, è ritenuta addirittura una conquista da difendere. E, in effetti, se proviamo a metterci dalla parte di chi le liste dei candidati le compila, è piuttosto facile arrivare alla conclusione che la rimozione del voto di preferenza ha rappresentato per i capipartito una svolta persino entusiasmante. Quel potere democratico di selezione della classe dirigente che dovrebbe spettare, in percentuali quasi analoghe, a forze politiche (che elaborano e propongono) ed elettori (che scelgono) ha finito, passo dopo passo, per essere trasferito quasi interamente ai vertici dei partiti: ai cittadini solo l'indicazione di uno dei simboli in lizza; ai titolari dei simboli la decisione effettiva sugli eletti».



Nelle democrazie moderne non c’è più una netta divisione tra potere legislativo e potere esecutivo.
L’articolo 71 della nostra Costituzione prevede che l’iniziativa delle leggi appartenga nell’ordine al Governo, a ciascun membro delle Camere … ed al popolo. L’approvazione delle leggi spetta comunque al Parlamento (art.70). Perché il dibattito sulla formazione delle leggi sia democratico occorre che tutte le voci siano presenti nel Parlamento.
Anche se, «come mostrano gli studi sull’opinione pubblica, i segmenti elettorali veramente
diversi fra loro non sono più di sei o sette», è difficile trovare tra i candidati proposti dai partiti quello che rappresenta il proprio “segmento”.
Perché si dovrebbe «mettere uno stop alla dinamica della frammentazione in corso»?
La frammentazione può essere svantaggiosa per la governabilità, ma è una risorsa per la discussione.

Occorre, pertanto, liberalizzare la scelta degli elettori, rendendola la massima possibile.
Tutti dovrebbero avere la possibilità di candidarsi, anche al di fuori dei partiti, e senza dover raccogliere firme di presentazione. L’ideale sarebbe poter scegliere liberamente, esprimendo alcune preferenze, dall’intero registro degli elettori.
La sintesi delle varie posizioni politiche avverrebbe in Parlamento con la costituzione dei gruppi parlamentari (da molti partiti a pochi gruppi, il contrario di quello che avviene ora dai pochi “listoni-insalata” a molti gruppi). Basterebbe che il compito di esprimere il governo fosse attribuito al gruppo maggioritario della Camera. A questo gruppo (e al suo omologo del Senato, anche se non maggioritario) verrebbe attribuito un voto pesante, opportunamente calcolato, per garantire la governabilità (si privilegia il gruppo della Camera perché rappresentativo di una platea più vasta di elettori).

Una legge elettorale impostata su questi principi (vedere la proposta in testa al blog) renderebbe di fatto inutile effettuare “le primarie”, in quanto queste sarebbero un tutt’uno con le elezioni vere e proprie. Sarebbero elezioni con “primarie embedded”.


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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