IL BLOG DI SERGIO VIVI



mercoledì 29 giugno 2005

Elezioni, leggi e religioni

Disappunto in Occidente. A fine giugno 2005, in Iran, l'estremista antioccidentale Mahmud Ahmanidejad ha vinto le elezioni presidenziali, sostenuto dai fondamentalisti e votato dagli strati più poveri della popolazione.

Nello stesso periodo, in Spagna, il cardinale arcivescovo di Madrid, alla testa di 19 vescovi, ha partecipato a una marcia per impedire al Parlamento di approvare la legge che consente i matrimoni fra gay.

Il 12 giugno 2005, in Italia, il popolo "ha dato prova di grande maturità" facendo fallire il referendum sulla procreazione assistita, difendendo così una legge dello Stato approvata in Parlamento da una maggioranza trasversale.

Il 4 novembre 2004, negli Stati Uniti, George W. Bush, facendo leva "sui sentimenti dell'America più profonda", ha vinto il secondo mandato presentandosi come il difensore e il restauratore, dei valori tradizionali, "dio, patria e famiglia". «Una delle mosse più astute e meno studiate di Karl Rove, l'architetto della vittoria, è stata quella di introdurre sulle schede di 21 stati un referendum provocatorio sulla legalizzazione del matrimonio fra gay, anche se Kerry già si era dichiarato contrario. I referendum sono stati tutti sonoramente sconfitti ma hanno fatto scattare fra Kerry e il peccato, fra i democratici e l'immoralità, il riflesso condizionato dell'equazione "democratici uguale anticristi"» (Zincone su Repubblica).

Nel 1991, in Algeria, il Fronte di Salvezza Islamica vinse il primo turno delle elezioni politiche con 188 seggi contro i 43 degli Altri. L'esercito annullò immediatamente il secondo turno e invalidò i risultati del primo. Il fatto fu accolto in occidente con disincanto.

Come si vede, le religioni non hanno mai smesso di giocare un loro ruolo nelle vicende politiche dei popoli. In forme diverse e con esiti differenti, a seconda dei tempi e dei luoghi, ma fonte, quasi sempre, di autoritarismo o di tirannia.

A volte è più facile diventare tiranni o imporre leggi autoritarie con la democrazia che esportare la democrazia con le armi. Altre volte la forza è servita a convertire interi popoli. Basta ricordare l'episodio di Verden dove, nel 782, 4500 testardi pagani furono decapitati, in un solo giorno, perchè si ostinavano a non volersi convertire.

Sulla base del ruolo che gioca l'attività legislativa nel determinare il confine tra libertà naturali e libertà istituzionali ho escogitato -tempo fa- un modo per rappresentare graficamente lo stato di sviluppo e di civiltà di una nazione. In breve, su un grafico polare, il punto S, che ha come coordinate il raggio vettore RO proporzionale allo sviluppo e l'anomalia ALFA (in senso antiorario) proporzionale alla quantità delle leggi virtuose, rappresenta il livello di democrazia della nazione; il punto T, che ha come coordinate lo stesso raggio vettore RO e l'anomalia TETA (in senso orario) proporzionale alla quantità di leggi autoritarie o tiranniche ne rappresenta invece il tasso di tirannia.

Per maggiori dettagli sui Grafici dello Sviluppo e sul ruolo delle religioni vedere
http://www.webalice.it/sergio.vivi/liberta.html


mercoledì 22 giugno 2005

Nomi

Titoli sui giornali.
"Il paradosso dell'Unione".
Si parla dell'unione europea? No, si parla del centrosinistra.
"Un'Unione solidale".
Si parla del centrosinistra? No, si parla dell'Unione europea.
Anche questa volta la mano di chi ha scelto la nuova denominazione del centrosinistra non è stata felice: con la fama di cui gode in questo momento l'UE, il nome Unione potrebbe rivelarsi controproducente.


sabato 18 giugno 2005

Euro e competività

A proposito della perdita di competitività il mio amico Tomaso F. ha avanzato la seguente tesi:

La principale causa di perdita di competitività dell’Italia è l’euro, alla cui adozione si devono addebitare il blocco degli investimenti e dello sviluppo naturale del paese. A quel tempo non c’erano le possibilità concrete dell’Italia di recuperare il gap strutturale esistente con gli altri paesi aderenti, per cui, l’impossibilità di svalutare (o di lasciare fluttuare liberamente) la moneta avrebbe provocato una perdita di competitività con conseguente diminuzione (crescente nel tempo) di quelle risorse da destinare alla realizzazione delle riforme necessarie a portarci al livello degli altri. Si sarebbe innescata una retrazione positiva che avrebbe, nel tempo, reso instabile il sistema facendolo precipitare -come una bilia che cade in un imbuto- verso un nuovo “attrattore” in fondo al quale avrebbe trovato un nuovo stato stabile denominato DECLINO.

Leggete ora il seguente programma:

«L’Italia è uno tra i paesi più avanzati al mondo. Con un tasso di crescita superiore al 2,5% e un’inflazione sotto controllo, le sfide che abbiamo davanti non fanno paura.
. . . . Entro il 2006 l’Italia dovrà essere un paese diverso da oggi, con un livello di competitività elevato, uno sviluppo più dinamico, una buona integrazione sociale, una disoccupazione ricondotta alle sue soglie fisiologiche, uno Stato più moderno, servizi più efficienti, un insieme di riforme finalmente compiute, un ruolo da protagonista nel nuovo scenario internazionale.
. . . . noi indichiamo proposte e misure concrete, con una credibilità che deriva dai risultati raggiunti (negli ultimi) 5 anni:
. . . . il risanamento della finanza pubblica, la ripresa del processo di sviluppo, l’ingresso nell’euro, la disoccupazione scesa sotto il 10% –con 1.454.000 occupati in più–, la capitalizzazione della borsa triplicata, la riduzione dei tassi di interesse al 5%, il consistente recupero di evasione fiscale, le privatizzazioni e il varo di riforme strategiche.
Le nostre proposte per il contenimento della spesa pubblica corrente e la riduzione degli oneri degli interessi sul debito pubblico porteranno all’erario circa 70.000 miliardi di risorse aggiuntive, che si sommeranno ai 30.000 recuperati dall’evasione fiscale. Si tratta di 100.000 miliardi, una cifra ingente, che sappiamo come spendere».

La tesi che la principale causa di perdita di competitività dell’Italia è l’euro, alla cui adozione si devono addebitare il blocco degli investimenti e dello sviluppo naturale del paese, come si vede è facilmente confutabile. La perdita di competitività si poteva evitare, con o senza l’euro, soltanto che gli italiani nel 2001 avessero mandato al governo l’Ulivo che avrebbe senz’altro tenuto fede alle solenni affermazioni sopra riportate (tratte da “Il programma dell’Ulivo per il governo 2001/2006, presentato da Francesco Rutelli, Newton & Compton editori) invece che la Casa delle Libertà.

F. sostiene anche -quello che già si sapeva- che la realtà del nostro paese, la sua cultura, l’opinione pubblica più diffusa, impediscono di fatto ogni cambiamento. Nessuno vuole rinunciare ai propri privilegi, tutti sono in grado di condizionare con i propri voti elettorali qualsiasi formazione di governo.

A parte gli scherzi, io penso che il comportamento del popolo italiano sia naturale e non diverso da quello di tutti gli altri (anche i francesi hanno bocciato la costituzione UE per paura dell’ “idraulico polacco”) così come è naturale che gli abitanti della Padania difendano il loro particolare, la loro “roba”, come fanno i siciliani. Tutti teniamo dei legittimi (legali)comportamenti individuali il cui esito “inintenzionale” –come direbbe Friedrich A. von Hayek- è quello di impedire il cambiamento.

Penso, invece, che prendere decisioni tra le possibili scelte e cercare di riformare il sistema nell’interesse di tutti spetti alla classe politica e dirigente del paese e, in particolare, alla maggioranza di governo. Almeno noi crediamo di eleggerli per svolgere questo compito.

Ma è possibile per la classe politica fare riforme strutturali in Italia?

Secondo alcuni commentatori politici (Piero Ostellino, La sindrome antiriformista, Corriere della Sera, 16 aprile 2005) siamo vittime di una sindrome antiriformista riscontrabile sia nel centro-destra che nel centro-sinistra.
A destra, qualsiasi riforma proposta da FI e dalla Lega è rifiutata sia dall’ UDC che da AN gelose del proprio elettorato, mentre, a sinistra, i riformisti di Fassino e D’Alema sarebbero vittime di un Prodi che si appresterebbe a governare da ex democristiano, «che rimane il prodotto tipico, a Denominazione di Origine Controllata, della Dc del “compromesso continuo” con gli interessi organizzati, dei finanziamenti a fondo perduto al Meridione, dei sussidi alla grande industria,del neo-corporativismo sindacale, dell’occupazione dello Stato.»

Quello che manca è un partito di massa veramente riformista e libero da condizionamenti estremistici. La realtà è che le elezioni in Italia, in questo periodo storico, servono soprattutto a consegnare il potere a una delle due “bande” contrapposte aventi gli stessi pregi e gli stessi difetti. Poi –come scriveva Gaetano Mosca, il teorico delle “élites”- se gli interessi dei governanti coincideranno in minima parte con quelli del popolo tanto meglio. Altrimenti pazienza!

La mia opinione -da profano in economia- è di mantenere l’euro anche se altri paesi aderenti dovessero nel tempo cambiare moneta. Quando fossimo rimasti l’unico paese con l’euro allora potremmo lasciarlo fluttuare liberamente o svalutarlo.
L’introduzione dell’euro l’abbiamo pagata a caro prezzo. Altrettanto caro pagheremmo il ritorno alla lira.

In conclusione, resta la domanda:
Siamo sicuri che il non entrare nell'euro avrebbe permesso all'Italia di compiere il tragitto virtuoso verso le riforme strutturali necessarie?


venerdì 17 giugno 2005

Manifesti elettorali

Come si sarebbe sviluppata l'attuale polemica tra Prodi, Rutelli e Berlusconi se fossero rimasti di moda i manifesti della campagna 2001? Cliccare qui sotto

http://www.webalice.it/sergio.vivi/berlusconiEprodi.html


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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