IL BLOG DI SERGIO VIVI



mercoledì 29 agosto 2007

Forza giovani!

Il 24 agosto 2007, in una lettera alla Stampa, Barbara Palombelli ha scritto:

«Caro direttore,
confidando in una bella giornata d’autunno, il 14 ottobre prossimo, giorno in cui nascerà il Partito democratico, andrò al mare. Fino a un minuto prima, cercherò di convincere figli, amici dei figli, ragazzi e ragazze, a partecipare al voto.
Non andrò perché non vorrei che il partito nuovo/nuovo partito fosse un neonato con i capelli bianchi o tinti. Non andrò perché se tutti quelli che andranno avranno - come me - più di cinquant’anni, l’Italia resterà bloccata, ferma, immobile. … »


Cerchiamo di capire. Che un paese rimanga bloccato oppure si muova può, sì, dipendere dal leader del partito che si propone di governare. E’ vero che l’età degli elettori può influire sulla scelta del leader. Ammesso, però, che gli elettori abbiano possibilità di scelta. Nel caso del 14 ottobre, invece, gli elettori si trovano di fronte una lista bloccata di “capelli bianchi”. La domanda è: il futuro leader ultracinquantenne del PD ringiovanirebbe se fosse eletto soltanto dai giovani?

Dopo aver visto questo video su YouTube la Palombelli si deve essere convinta che, se votassero solo i giovani e in particolare la ragazze, Walter Veltroni finirebbe per assomigliare a Barack Obama.



martedì 28 agosto 2007

Democrazia Diretta

Ha scritto, ieri, il candidato alla segreteria del Partito Democratico Mario Adinolfi sul suo blog:

«Nel mio Pd governato secondo i criteri della democrazia diretta, trentamila iscritti che vogliono assumersi la responsabilità di presentare al giudizio del partito una proposta di legge sul matrimonio gay, possono farlo ed essere certi che l'intero corpo del partito sarà chiamato a decidere su quella proposta, attraverso un referendum interno in cui si voterà anche per via elettronica e la decisione che sarà assunta dalla maggioranza dei votanti, sarà la posizione del partito. E questo avverrà su tutte le decisioni di alto profilo politico, con esclusione delle procedure direttiste solo riguardo a temi ad alta densità emotiva, come ad esempio la proposta di istituzione della pena di morte a seguito di delitti particolarmente efferati (e, più in generale, i temi ultimi della vita e della morte resteranno fuori dalla proponibilità referendaria). Su ognuno degli altri temi, il mio Pd cercherà la legittimazione massima delle decisioni dalla consultazione più ampia possibile della base, assicurando spazi e tempi di confronto per far maturare le decisioni collettive. Che a quel punto saranno fortissime, perché collettive davvero».

E su quei temi (pena di morte, embrione, eutanasia) chi dovrebbe decidere?
La gerarchia del partito, un comitato di saggi, a bassa densità emotiva, scelto dalla gerarchia, magari ispirati dallo Spirito Santo? E no, caro Mario, è proprio sui temi di coscienza che devono decidere tutti i cittadini. Ma di quale “democrazia diretta” parli?.


domenica 26 agosto 2007

Partito federale e legge elettorale

Oggi, Eugenio Scalfari scrive nel suo editoriale sulla Repubblica:
«Il secondo tema (dei due temi specifici che il nuovo Partito Democratico deve con urgenza affrontare) è quello dei partiti territoriali la cui federazione darebbe vita al partito nazionale. Finora sembra di capire che Veltroni sia favorevole a questo schema federativo. Come osservatore esterno ma interessato mi permetto di dissentire. Le istituzioni dello Stato è giusto che abbiano articolazioni federali provviste di ampie autonomie culminanti nel Senato federale e nel federalismo fiscale. Ma proprio per questo i partiti debbono avere una propria personalità nazionale. Le articolazioni territoriali sono ovvie e sempre esistite, ma non possono dare luogo a partiti autonomi di scegliere alleanze non compatibili e politiche proprie come se si trattasse di altrettanti Stati confederati.

I grandi partiti esprimono convinzioni, principi, consensi su base nazionale. L'Italia è stata e ancora in gran parte è uno spezzatino di interessi e di costumanze. Non spetta ai partiti di perpetuarle e di accentuarle. Essi anzi dovrebbero avere il compito di smussarle e ricondurle ad un concetto di unità della nazione e di visione dello Stato. Si vorrebbe conoscere in proposito l'opinione dei vari candidati alla leadership e in particolare quella di Walter Veltroni».


Sono d’accordo. Ma questi argomenti dovrebbero riflettersi anche sul piano della legge elettorale.
E dovrebbe essere d’accordo anche Veltroni che si propone di apportare
«Poche, mirate innovazioni alla parte seconda della Carta e una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere il governo e al governo la possibilità di decidere».

Recita l’Art. 49 (nella prima parte) della Costituzione:
«Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale».

I partiti presenti in parlamento determinano quindi la politica nazionale, non quella dell’Emilia-Romagna o del Trentino-Alto Adige. Che il PD possa diventare un partito federale è una pia illusione. Puo' non piacere ma «i partiti federali sono fatti così. Sono la federazione di partiti locali autonomi e scollegati, nel senso che le decisioni di uno non infuenzano piu' di tanto le decisioni di altri e sullo stesso tema potresti avere decisioni anche molto diverse».(da una e-mail del 21.07.2007 di Massimiliano Falcucci a Francesco Forte, letta in internet)

Devono, inoltre, “concorrere con metodo democratico”, vale a dire tenere conto che il loro potere discende dalla sovranità popolare.
Il che comporta che i parlamentari siano stati eletti coi voti dei cittadini e che tutti gli eletti siedano in parlamento (quindi niente sbarramenti o premi di maggioranza che ne escludano qualcuno).
Il che comporta, anche, che gli elettori abbiano la più ampia possibilità di scelta. Quindi niente liste bloccate, niente liste per circoscrizione, ma un unico collegio nazionale, con liste aperte senza limite numerico, senza ordine di lista e con la possibilità di votare per un partito ed esprimere preferenze disgiunte.

L’Art.67 afferma: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».
La rappresentanza territoriale non ha senso. Porta solo a stupide pretese, come quella che ogni regione abbia un suo ministro o un suo sottosegretario nel governo. Come ha ricordato qualcuno «anche Bruno Kessler (della SVP), sbalzato a Roma, fu solo un semplice peone (e Piccoli e Degasperi giunsero ai massimi vertici non perché espressione del Trentino, ma della nomenklatura nazionale)».
E’ giusto che ogni elettore possa scegliere in campo nazionale i politici che preferisce.


giovedì 16 agosto 2007

Sartori e l'ambiente

In un articolo intitolato “Le illusioni sull’ambiente – Un’umanità che non sa salvare se stessa” (Il Corriere della Sera del 15 agosto 2007) , Giovanni Sartori mescola assieme catastrofe ecologica, menefreghismo della gente, esaurimento delle risorse e bomba demografica.
L’articolo si può leggere qui.

Qualche domanda da “homo stupidus stupidus”:

Quando tra breve tempo (tenendo buona la sequenza 1, 2, 4, 8, 16…) le risorse energetiche, principalmente il petrolio, saranno esaurite e lo “sviluppo insostenibile” si arresterà (senza energia l’industria non può funzionare), non verrà meno, di colpo, anche la causa principale del “riscaldamento globale” ?

Non sarà, l’ineluttabile verificarsi di questa scadenza, un evento di potenza cento, mille volte superiore al raggiungimento degli obiettivi di qualsiasi protocollo “tipo Kioto”?

Cosa c’entra la “bomba demografica”?
Forse che limitando le nascite –stante ancora disponibilità di risorse- si limiterà l’incremento dei processi industriali, specialmente in Cina e in India?

Cosa c’entra la Chiesa Cattolica che, in base ai suoi valori, detta comportamenti (molto spesso disattesi) ai propri fedeli?


venerdì 10 agosto 2007

I saldi di luglio


Tempo di vacanze, tempo di saldi.
Tra quelli di fine luglio rientrano a pieno diritto anche quelli proposti dalla politica.
Uno dei temi che ha spopolato sui media in questo periodo è quello della “frammentazione politica” vista come la causa che blocca le riforme e impedisce ai “buoni” governi di decidere. «A causa della forza elettorale delle estreme».

Dopo avere osservato che «un governo che dia troppo spazio alle posizioni estreme è necessariamente destinato al fallimento» Angelo Panebianco (sul Corriere della Sera del 17 luglio 2007) afferma che «salvare il bipolarismo non è una fissazione da politologi. Significa voler salvare una cosa molto concreta: la possibilità per gli elettori di mandare via i governi e le maggioranze di cui sono insoddisfatti».

A sostegno della sua tesi, il professore fa il seguente esempio:
«Fu proprio perché non c’erano bipolarismo né possibilità di alternanza che i governi della Prima Repubblica, nel corso degli anni, sicuri della loro impunità, poterono scaricare sulle spalle delle generazioni successive un immenso debito pubblico».

E’ il caso di ricordare che il grosso del debito pubblico si è accumulato a partire dagli anni ottanta, negli ultimi quindici anni circa della Prima Repubblica, fino a raggiungere il 102% del Pil.
Nella Seconda Repubblica, dopo alcuni governi di centrodestra e alcuni di centrosinistra, in presenza di bipolarismo e di effettiva alternanza, il debito pubblico non solo non è diminuito, ma è ulteriormente lievitato al 106%.
Non sembra che l’attuale bipolarismo sia stato una panacea contro quel fenomeno.

«Che fare allora? Come salvare capra e cavoli? Ricette miracolose non ce ne sono. Bisogna darsi da fare con quel che c’è. E l’unica cosa che c’è (o è possibile che ci sia) è la riforma elettorale».

Anche Giovanni Sartori vuole far fuori i “nanetti”, come chiama i piccoli partiti. Però, secondo il professore (Corriere della Sera del 20 luglio 2007), il bipolarismo vigente finora in Italia «è un unicum molto diverso dagli altri bipolarismi. Il nostro è un bipolarismo rigido, ingessato … In tutte le altre democrazie, invece, il bipolarismo è flessibile e aperto; il che vuol dire che ogni polo si adatta alle circostanze e si apre, occorrendo, a soluzioni “allargate”».

«… mentre il bipolarismo flessibile può funzionare comunque vadano le elezioni … il bipolarismo all’italiana si fonda sull’originalissima idea che le elezioni lo devono servire producendo ogni volta una maggioranza largamente autosufficiente. … E se producono dei pareggi? In tal caso sbagliano gli elettori, ed è il sistema elettorale che li deve costringere al bipolarismo».
«La verità è che a livello elettorale una distribuzione dualizzata tipo “destra-o-sinistra” è normale, è fisiologica, in tutte le democrazie. …E la riprova del fatto che il bipolarismo sia fisiologico è data dalla constatazione che tutte le democrazie occidentali sono bipolari quale che sia il sistema elettorale. Il punto è, allora, che il bipolarismo all’italiana è una costruzione del tutto artificiale, artificiosa e innecessaria».

C’è anche chi mette in dubbio che neppure il taglio delle estreme renderebbe possibile l’attuazione delle riforme: «… è tutto da dimostrare che “il taglio delle ali estreme” e governi centristi siano in grado di attuare le riforme impopolari che i governi inglesi hanno adottato e alle quali Sarkozy pare accingersi». (Michele Salvati sul Corriere della Sera del 18 luglio 2007)
Tanto più che «i poteri di veto sono esercitati non solo all’estrema destra e all’estrema sinistra ma anche all’estremo centro e forse sono più pericolosi di quelli delle altre estreme». Così il leader referendario Giovanni Guzzetta (la Repubblica del 27 luglio 2007),

Salvatore Vassallo (sul Corriere della Sera del 21 luglio 2007) scrive:
«Anche nel centrosinistra si va affermando quindi l’idea, condivisibile, che il bipolarismo debba essere ripensato su basi nuove, evitando patti pre-elettorali capestro tra forze troppo eterogenee».
Vassallo, dopo avere esposto quelle che per alcuni settori del centrosinistra sono le virtù del sistema elettorale tedesco, bolla questo sistema come quello che permetterebbe al “partito di centro” [Casini, Mastella, Montezemolo (forse), Di Pietro e Pezzotta (con il gradimento del cardinal Ruini)] di godere di una rendita di posizione spropositata.
«Se si vuole ripensare il bipolarismo su nuove basi … serve un sistema elettorale proporzionale che tenda, per suoi meccanismi interni, a sovra-rappresentare i partiti più grandi … Chi evoca il sistema tedesco come soluzione per superare il referendum, lavora insomma a un imbroglio».

Dalla proposta in dieci punti (e vai coi decaloghi!) che Walter Veltroni ha inviato al Corriere della Sera il 24 luglio 2007.
Terzo punto: «riformare la legge elettorale, in modo da ridurre la assurda frammentazione (eh, te pareva!) e favorire un bipolarismo basato su competitori coesi programmaticamente e politicamente. Il governo sarebbe così capace di assicurare l’attuazione del programma … E infine la ricostruzione di un rapporto fiduciario tra elettori ed eletti, mediante la previsione per legge di elezioni primarie per la selezione dei candidati».
Le primarie? Ve le raccomando! Con le opinabili regole previste per il “14 ottobre”. Non sarebbe molto più semplice inserire sulla scheda elettorale alcune righe vuote sulle quali gli elettori potessero esprimere le loro preferenze, scelte da una lista la più numerosa possibile? Sarebbero elezioni con primarie embedded.
Ma chi nomina il voto di preferenza, anche se si chiama Walter, muore.

* * * * * *

Pur affermando quasi tutti la necessità di porre fine alla frammentazione dei partiti, le conclusioni di questi autorevoli interventi sono:

è necessaria una riforma elettorale;

non vale la pena di salvare l’attuale bipolarismo;

il bipolarismo flessibile (l’unico buono, non quello di Prodi) non dipende dal sistema elettorale impiegato;

il taglio delle estreme non è una garanzia per l’attuazione delle riforme;

è meglio un sistema elettorale proporzionale;

è bene presentarsi alle elezioni con coalizioni coese;

gli elettori devono potere selezionare chi siederà in parlamento.

* * * * * *

Dato che il maggiore esperto di ingegneria costituzionale si guarda bene dal suggerire una soluzione (compiacendosi di stroncare quella che viene di volta in volta adottata), spetta a noi cittadini chiedere quello che desideriamo.

Chiedere è lecito, rispondere sarebbe doveroso. Cari politici di destra, di centro e di sinistra, molti italiani rivogliono il voto di preferenza e non sono più disposti a seguirvi in nessuna suite di costosi hotel e a calarsi le mutande. Tanto più se, oltre a pagare a qualche singolo individuo una misera marchetta con i nostri soldi, ci fate pagare anche la lussuosa accommodation.
Non è antipolitica questa, ma cronaca quotidiana letta sul Corriere o su Repubblica.


giovedì 9 agosto 2007

Valentino

Scomettiamo che, domenica prossima, a Valentino sequestrano la moto.


domenica 5 agosto 2007

Le lettere di Veltroni

Rispondendo alla lettera aperta del 30 luglio di Mario Pirani, a Lui indirizzata, Walter Veltroni sulla Repubblica di oggi scrive tra l’altro:
«… il nostro paese si va frammentando. … Ma anche la politica è così, oggi. La frammentazione è diventata parossistica, con partiti talvolta pura proiezione di leader più o meno ambiziosi. Partiti piccoli. Piccolissimi, talvolta persone che hanno nelle loro mani il destino del paese».

Quello della frammentazione sta diventando un luogo comune.
Io so di molti partitini o giornali di partitini che incassano contributi dallo Stato, ma che in parlamento non ci sono o non contano un fico secco. Se invece Veltroni si riferisce alla sinistra cosiddetta radicale, è vero che il destino del paese, col governo Prodi, è spesso nelle mani del PRC, del PdCI e dei Verdi. Ma è stato l’Ulivo che ha fatto una coalizione di 232 pagine con questi partiti che, messi assieme, sono dell’ordine di grandezza di quel che rimane dei DS e della Margherita. Se i cosiddetti grandi partiti (Ulivo e coalizione di destra) volevano privilegiare il bene del Paese alla conquista del potere, potevano benissimo estromettere le estreme e sfidarsi cavallerescamente: chi vinceva prendeva il premio di maggioranza e governava coeso.

Dice ancora Veltroni:
«Penso cioè ad una democrazia che funzioni, con un sistema elettorale che faccia votare gli italiani, e scegliere il governo, sulla base di due proposte chiare e coese programmaticamente».

Scegliere tra due proposte chiare e programmaticamente coese, implica un sistema elettorale che riduca a non più di tre i partiti in parlamento. Il sistema dovrebbe prevedere, matematicamente, uno sbarramento del 35%.
Secondo la Costituzione in vigore gli elettori votano non per eleggere il governo, ma per scegliere ed eleggere i deputati.

Dice anche:
«Poche, mirate innovazioni alla parte seconda della Carta e una nuova legge elettorale che restituisca ai cittadini il potere di scegliere il governo e al governo la possibilità di decidere».

Peccato che l’Art. 49 si trovi nella prima parte della Costituzione. E permetta, ad esempio, a Sabino Pezzotta di fare il suo Partito della Famiglia. A Mussi e Salvi di fare la Cosa Rossa. A Flavio Briatore di fare il Partito del Lusso. A Francesco Storace di fare la Destra. A Daniele Capezzone … ecc ecc. Senza contare che il presidente emerito Oscar Luigi Scalfaro, supporter di Veltroni, assieme all’Associazione “Salviamo la Costituzione” ha proposto di innalzare il quorum previsto dall’Art. 138 al fine di salvaguardare da possibili cambiamenti l’impianto di fondo della Costituzione (Corriere della Sera, 17 luglio 2007).

Ancora Veltroni:
«La politica deve saper ospitare, dentro di sé e nelle istituzioni, le energie migliori del paese. … Ricordo un Parlamento in cui sedevano anche Natalia Ginzburg e Leonardo Sciascia, Claudio Napoleoni, Roberto Ruffilli e Gartano Arfè».

Veltroni ha esposto il suo programma al Lingotto, ha fatto pubblicare un decalogo sul Corriere ed ha risposto a Pirani. In nessuna di queste tre occasioni ha dichiarato di volere il ripristino del voto di preferenza agli elettori, mostrando di preferire il meccanismo delle primarie. Meccanismo, stando alle primarie del 14 ottobre, pilotato dai partiti e con assurde regole di esclusione.

L’unico metodo democratico è quello, nella cabina elettorale, di poter scegliere non un candidato ma alcuni candidati, non da una lista locale ma da una lista nazionale. Solo così sarà possibile vedere seduti in Parlamento le migliori energie del paese.

E infine:
«La politica si deve nutrire della bellezza dell’apertura, della competizione delle idee».

Chissà se qualcuno gli ha detto che l’ufficio tecnico ha bocciato le candidature di Pannella e Di Pietro a leader del PD.


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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