IL BLOG DI SERGIO VIVI



lunedì 11 ottobre 2010

I costi della sanità

Nel post precedente, allo scopo di abbattere il debito pubblico, abbiamo ipotizzato una riforma radicale del sistema sanitario nazionale (SSN) e proposto l’introduzione di un’assicurazione sanitaria obbligatoria. Vale la pena vedere quale dovrebbe essere il prezzo di una tale assicurazione. Lo faremo utilizzando i dati dell’anno 2008, che paiono i più completi e disponibili.

I COSTI DELLA SANITA’
Dal sito del
Ministero della Salute ricaviamo le seguenti tre tabelle che ci danno, rispettivamente, il totale della spesa sanitaria, la spesa suddivisa per regioni e pro-capite, e le fonti di finanziamento.

SPESA SANITARIA E PIL
Da un
precedente post, che ne contiene le fonti, ricaviamo i seguenti dati, sempre concernenti il 2008:

PIL - prodotto interno lordo dell’Italia = 2.293.008 millions of USA dollars (World Bank)
Valore medio del cambio nel 2008 : 1 euro = 1,47076 USA dollars
PIL – prodotto interno lordo dell’Italia = 1.559.063 milioni di euro
Debito pubblico italiano = 1.663.637 Milioni di euro = 106,7% del PIL (Il Sole 24 ORE)

Nel 2008
la spesa sanitaria di 106.650 milioni di euro è stata pari al 6,84% del PIL.
L’obiettivo della riforma è di diminuire la spesa pubblica del 5% del PIL e di utilizzare il rimanente 1,84% per provvedere –tramite i comuni che, col federalismo, disporranno anche dell’imposizione autonoma delle tasse- ai malati cronici, agli anziani indigenti, alle fasce di reddito più basse ed agli stranieri irregolari.

Allo scopo, poi, di potenziare le prestazioni del servizio sanitario (dimezzamento delle liste e del tempo d’attesa, riduzione dei casi di malasanità), si può pensare di raddoppiare il personale. Per farlo, nel 2008, avremmo speso ulteriori 35.177 milioni di euro in più.
Per una spesa totale di 106.650 + 35.177 = 141.827 milioni di euro, pari al 9,1% del PIL.

CALCOLO DEL PREMIO ASSICURATIVO
Dal sito
lavoce.info, ricaviamo la seguente tabella che riporta, tra gli altri, il numero totale dei contribuenti Irpef, che sono coloro che devono assicurarsi.

Supposti i costi di gestione ed i compensi delle società assicuratrici dell’ordine dell’attuale spesa di funzionamento delle Asl, tenuto conto del numero del numero di contribuenti Irpef, il premio dell’assicurazione sanitaria risulterebbe di:

141.827 milioni di euro DIVISO 40.760.593 = 3.479,51 euro annui, pari a 290 euro mensili.

SOSTENIBILITA’ DEL PREMIO
E’ troppo?
Sappiamo che esistono delle assicurazioni sanitarie integrative d’alcune categorie di lavoratori dipendenti -che in genere non danno una copertura totale- per le quali si pagano premi minori (ad esempio, per il Fasi dei dirigenti d’azienda, che copre anche il coniuge ed i figli minorenni, il contributo complessivo -a carico dell’assicurato e dell’azienda- è di 2.376 euro per il 2010). Certamente, nella spesa totale del SSN sono inclusi i costi degli sprechi e delle molteplici truffe perpetrate ai suoi danni. I 3.479 euro calcolati rappresentano, pertanto, un massimo suscettibile di diminuzione una volta entrata in campo la concorrenza (minima, d’accordo) tra privati e una volta ridotti gli sprechi ed impedite le truffe (è molto più difficile truffare un’assicurazione privata piuttosto che un’Asl pubblica).

Restiamo, in ogni modo, fermi ai 3.479 euro annui.
Buona parte della gente paga già l’assicurazione per l’automobile (magari due per famiglia) ed il carburante (spese per altro necessarie ed insopprimibili), ma anche
l’abbonamento RAI, 109 euro/anno,
l’abbonamento Sky, 348 euro/anno,
l’abbonamento per la connessione internet, circa 250 euro/anno,
l’acquisto e le ricariche del telefonino (magari tre per famiglia),
le sigarette, il superenalotto, il cinema ed i concerti rock, la pizza o il ristorante, i capi griffati, i corsi di danza o di nuoto per i figli, la settimana bianca, le vacanze estive … altro che 3.479 euro.
Questa gente può essere situata nella fascia di contribuenti sopra i 20.000.000 euro annui di reddito dichiarato.

290 euro mensili sono, invece, senz’altro troppo per chi dichiara un reddito di sotto ai 15.000.000 euro. Mentre tra i 15.000 ed i 20.000 possono essere un problema. Anche se il fisco non si preoccupa di fare pagare a questi contribuenti aliquote irpef del 23% e del 27%.

* * * * * *
Dato che c’interessano degli ordini di grandezza, consideriamo valida anche per il 2008 la tabella 1 di lavoce.info, dalla quale ricaviamo il
N° di contribuenti con reddito da 0 a 15.000.000 euro = 20.306.020 pari al 49,8%.

Per vedere quanti sono, con buona approssimazione, i contribuenti sopra i 20.000 euro di reddito, facciamo ricorso ad un sito che calcola la posizione di un dato reddito in una teorica classifica generale.

Come si vede, i contribuenti con reddito maggiore di 20.000 euro sono dell’ordine del 33,18%, vale a dire 40.760.593 x 33,18% = 13.524.364.
Per differenza, il numero di contribuenti con reddito tra 15.000 e 20.000 euro sono
40.760.593 – 13.524.364 – 20.306.020 = 6.930.209 pari a circa il 17,02%.

* * * * * *
Il premio dell’assicurazione, variabile -una volta a regime- secondo la località e la compagnia assicuratrice, oscillerà inizialmente intorno a 3.479,51 e sarà pagato da tutti.
In sede di dichiarazione irpef, chi dichiara oltre 20.000 euro porterà in detrazione (come già previsto per i contributi sanitari) il 19% (finendo per pagare circa 235 euro il mese); chi dichiara tra 15.000 e 20.000 euro porterà in detrazione il 48% (e pagherà 151 euro il mese); chi dichiara tra 0 e 15.000 euro porterà in detrazione il 98% del premio (e pagherà meno di 6 euro il mese).

Nella tabella 2 il riepilogo

Salvo errori.

CONSIDERAZIONI FINALI
Lo schema esposto presenta due punti negativi.
Il più grave risponde alla domanda: come fanno il 50% dei contribuenti sotto i 15.000 euro di reddito, ad anticipare, il primo anno, i 3.479 euro dell’assicurazione?
Questo problema si risolve solamente chiedendo un prestito alle banche, a tasso agevolato, da restituire a piccole rate negli anni successivi. Dal secondo anno in poi, si utilizzerebbero invece i rimborsi ottenuti con la dichiarazione del 730.

Il secondo punto negativo potrebbe sembrare il fatto che il fisco incasserebbe, a causa delle detrazioni, circa 90.000 milioni di euro in meno. Questo, però, è il destino del fisco, che incassa di meno se i redditi dei cittadini diminuiscono, sia perché guadagnano di meno, sia perché perdono il posto di lavoro. D’altra parte, la detrazione del 19% per i contributi sanitari esiste già. Si tratta di aumentarla, nell’attuale situazione di emergenza, per i redditi bassi.

Il saldo per lo stato è, in ogni modo, positivo poiché la differenza fra 141.827 e 89.758 = 52.069 milioni di euro rappresenta pur sempre un sostanzioso 3,34% del PIL. Il giorno in cui gli stipendi degli italiani smettessero di essere i più bassi d’Europa (d’accordo, a causa della bassa produttività del sistema-paese), la detrazione irpef potrebbe essere unificata al 19%, totalizzando 26.947 milioni di euro che porterebbero il saldo attivo a 114.880 (141.827 – 26.947) e la percentuale del PIL risparmiato al 7,37% (risparmio da suddividere, nel modo già detto, tra diminuzione del debito ed assistenza alle categorie disagiate).

Sul piano dei conti pubblici, che sono quelli che interessano il mercato, il debito pubblico diminuirebbe del 5% l’anno, come ci sta chiedendo l’Unione Europea, mentre l’1,84% sarà destinato all’assistenza delle categorie disagiate.

Tutti gli altri sono punti positivi.
- Nel primo anno il debito pubblico diminuirebbe del 6,84%. Negli anni successivi, come contropartita alla spesa dei privati cittadini, il Tesoro trasferirebbe -per legge- l’ammontare pari al 73% degli attuali fondi di finanziamento del SSN (pari al 5% del PIL 2008) alla Banca d’Italia, che li utilizzerebbe per rastrellare sul mercato titoli di stato e che distruggerebbe subito (cosa che il Tesoro non farebbe mai: i politici tanto incassano, più spendono).
Rendendo possibile una diminuzione del debito pari al 5% annuo.
Così, per tanti anni fintanto che il debito fosse sceso al 50% del PIL.

- Si sgombrerebbe il campo dalla spinosa questione dei costi standard della sanità. Il finanziamento degli ospedali consisterebbe tutto nel rimborso delle assicurazioni, con il giusto equilibrio tra qualità delle prestazioni, loro costi e premi assicurativi.

-Nessuno perderebbe il posto di lavoro (tranne i vertici politici delle Asl), anzi medici, infermieri e tecnici sarebbero raddoppiati, con conseguente potenziamento delle prestazioni, diminuzione dei casi di malasanità (ed aumento dell’accesso alla facoltà di medicina).

- L’aumento dell’occupazione nella sanità e quello delle attività delle compagnie assicuratrici farebbero ulteriormente aumentare il PIL (e le entrate fiscali).
Si creerebbe un circolo virtuoso che contribuirebbe al rilancio dell’economia.

* * * * * *
L’obiezione principale potrebbe essere: «Lo schema è troppo complicato, se i cittadini devono pagare è meglio lasciare le cose come stanno. I diritti conquistati non si toccano. Sarebbe macelleria sociale. Stiamo continuamente lavorando per migliorare la sanità ed aggiustare i suoi conti». Peccato che la situazione peggiori sempre, come la cronaca degli ultimi giorni lascia intendere.
Ai politici interessa soltanto il potere, per le prebende che offre. Riguardo al debito pubblico, stanno fermi immobili, nell’attesa della “madre di tutte le inflazioni” che, assieme al debito pubblico, spazzerà via i risparmi della gente.

Per queste ragioni, i cittadini, se fossero informati e conoscessero i numeri, sarebbero i primi ad essere interessati alla riforma del SSN. A farsi protagonisti, respingendo la logica di matrice socialdemocratica/cristianosociale che ha portato al welfare attuale. Quella “parmalatteria sociale”, costata finora 1.838 miliardi di euro ancora da pagare, per mezzo della quale una certa classe politica, nutrendo l’ambizione di accompagnare i cittadini dalla culla alla tomba, li ha indotti a pensare che certi diritti fossero loro dovuti sempre e in ogni caso, anche in cambio di tasse insufficienti ai bisogni; e li ha abituati a comportarsi come dei poppanti che non vorrebbero mai staccarsi dal biberon.

Purtroppo, questa riforma non compare nei “cinque punti della maggioranza” e Tremonti, per nessuna ragione al mondo, trasferirebbe soldi alla Banca d’Italia. Non comparirà, mai, nemmeno nei programmi dei partiti d’opposizione, che si dichiarano “riformisti”, reclamano fatti concreti ma si affidano ancora alle narrazioni dei sognatori. Anche se il segretario del PD dice che è ora di “rimboccarsi le maniche”, e smetterla di “pettinare le bambole”, ed il presidente della Regione Emilia Romagna, proprio oggi, inaugurando il nuovo Centro Iperbarico di Bologna ha affermato che, troppo spesso, «quando si parla di sanità si parla di soldi, ma la sanità per funzionare deve avere prima di tutto i valori». Dimenticando che, se l’eccellenza del sistema emiliano non può essere messa in dubbio, le prestazioni, invece, sono erogate con ritardi spaventosi a causa dei soldi.

Non sarà la madre di tutte le riforme, ma -dato che l’Europa ci sta chiedendo di ridurre il debito- andrebbe fatta e dovrebbe trovare un padre. Chi vuole prestarsi: Fini, Tremonti, Bersani, Vendola, Grillo?


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