IL BLOG DI SERGIO VIVI



giovedì 13 ottobre 2011

Astensione. Se il passo indietro lo facessero gli elettori?



Nella sua invettiva, Diego Della Valle ha scritto: «Politici ora basta. Rendetevi conto che tanti italiani non hanno più nessuna stima e nessuna fiducia in molti di Voi e non hanno più nessuna intenzione di farsi rappresentare da una classe politica che, salvo alcune eccezioni, si è totalmente allontanata dalla realtà delle cose e dai bisogni reali dei cittadini.»
Ha concluso: «Alla parte migliore della politica e della società civile che si impegnerà a lavorare seriamente in questa direzione, credo che saremo in molti a dire grazie.»
Sulle prime sembrerebbe un invito all’astensione elettorale invece, tradotto in parole povere, significa: i partiti attualmente in campo sono da buttare ma se ne può creare uno nuovo che risolverà i problemi del Paese.
Si capisce perché, mentre Rosy Bindi ha protestato sbattendo sul tavolo le sue Tod’s (neanche fosse Kruscev), Pierferdinando Casini ha dichiarato: «Noi siamo la parte buona della politica.»
Eh, no! Carini! Il Gattopardo l’abbiamo letto tutti.

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Più determinati sembrano, invece, una buona parte d’elettori.
Da un po’ di tempo sul TG La7, Enrico Mentana presenta dei sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani. Un dato costante è che il 30% degli intervistati dichiara che alle prossime elezioni si asterrà dal voto.
E’ un comportamento considerato tipico dell’antipolitica “di protesta”.
«Il rischio a cui va incontro [questo tipo d’antipolitica] è che risulti passiva e inefficace, che sia una valvola di sfogo per i cittadini, che si sottraggono alle proprie responsabilità e le scaricano sulla classe politica, divenuta il capro espiatorio universale.» [Carlo Galli, la Repubblica del 6 ottobre 2011]

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Apriamo una parentesi.
La mia utenza telefonica è iscritta nel «Registro delle opposizioni» dall’inizio d’agosto.
Ciononostante alcuni gestori di telefonia, incuranti del divieto, continuano a chiamarmi per propormi “l’abolizione del canone”.
Dopo averci pensato un pò su, ho messo in atto una tattica che ha dato immediatamente i suoi frutti.
Quando ricevo una di queste chiamate rispondo: «Sì, sono io», poi non profferisco più parola. L’innocente fanciulla che, per 6,31 euro lordi l’ora –ahi, lei!- ci mette tutta la determinazione cui è stata addestrata [Maurizio Ferraris nel suo ultimo libro “Anima e iPad” sostiene che l’addetto al call center può essere trasformato in macchina] per illustrarmi la vantaggiosa proposta, ad un certo punto mi chiede cosa ne penso. Io, muto come un pesce. Lei insiste, annaspando per qualche secondo in un gorgo di silenzio, aggrappandosi a domande sempre più concitate, poi si lascia affondare. Sono riuscito ad inceppare la macchina.
Se vi capita, provate anche voi e vi convincerete che il metodo –almeno sul piano individuale- è efficace. Ma, se una buona percentuale dei chiamati adottasse questo comportamento, al call center non resterebbe che chiudere, ed al gestore cambiare la modalità del marketing.

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Le elezioni politiche sono un marketing che funziona pressappoco come quello della telefonia.
Ci sono i partiti [associazioni private, non persone giuridiche] che, satolli dei rimborsi elettorali –ahi, noi!- con ogni sorta di lusinghe cercano di acquisire il consenso della maggioranza degli elettori. Senza preoccuparsi di demonizzarsi l’uno con l’altro e di demonizzare, a sua volta, l’elettore. Subito dopo la chiusura delle urne, la coalizione che ha conquistato il governo dimentica le promesse fatte. Molti elettori delusi s’iscrivono ad un virtuale “registro dell’opposizione” e, alle successive elezioni, fanno in modo di cambiare la maggioranza.
Dopo l’esperienza fallimentare delle ultime quattro legislature l’elettore ha esaurito le sue possibilità di scelta e non sa più a che santo votarsi.
Tutta colpa del  bipolarismo all’italiana. “Questa versione miserabile e peronista del bipolarismo è ora al capolinea, come testimoniano le crisi parallele dei due soggetti che lo incarnavano, il Pdl e il Pd” (Curzio Maltese, la Repubblica, 6 agosto 2010).
Sopraggiunge forte la voglia di ritirarsi nel privato, di restare muti.
In altre parole, rifugiarsi nell’astensione.

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Ha dichiarato, candidamente, a IN ONDA (TV La7) un esponente politico: «Se c’è crisi, elezioni subito. Per il semplice motivo che nei prossimi anni bisognerà trovare MILIARDI di EURO ed è giusto che ci sia un ampio mandato.» Ecco perché si fa appello alla responsabilità degli elettori: i soldi vanno presi dove sono, cioè soprattutto nei salvadanai delle famiglie. Per questo chiedono il consenso dei cittadini, ai quali viene rimproverato, contestualmente, di avere vissuto al di sopra delle loro possibilità e di avere praticato la virtù del risparmio. Alla faccia dell’articolo 47 della Costituzione che recita: «La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme;…».

Il debito pubblico ha superato il 60% del PIL -senza più scendere- nel 1982, otto legislature fa.
Dal numero delle pensioni in essere e di quelle di reversibilità (circa 3000 tra Camera e Senato), da allora ad oggi abbiamo avuto circa 4.000 parlamentari.
Ebbene, l’unico mandato che si dovrebbe essere disposti a dare è di sequestrare i patrimoni di questi 4000 signori fino al concorso dei 500 MILIONI di euro di debito pubblico che ciascuno di loro ha accumulato. Altro che mini-patrimoniale!
Il debito non lo hanno fatto i cittadini, ma i legislatori (governo e parlamento in solido) che sono stati incapaci di comportarsi come “buoni padri di famiglia”, attuando, ad esempio, un servizio sanitario i cui costi hanno sempre superato le entrate fiscali disponibili. Dando vita all’elefantiaco, burocratico carrozzone delle Ausl, la cui gestione è stata fin da subito fonte di clientelismo, di corruzione e di ogni sorta di truffa ai danni dello Stato.
Certamente non sono stati i cittadini –ammesso sia vera l’accusa del Wall Street Journal- a truccare i conti dell’Italia per entrare nell’euro (la Repubblica, pagina 7, 11 ottobre 2011).

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Dopo aver definito l’astensione un’espressione dell’antipolitica di “protesta”, Carlo Galli scrive che questo tipo di «antipolitica è rivolta non contro la politica in quanto tale né contro un sistema da abbattere con la rivoluzione, ma contro un ceto politico che ha deluso le aspettative… Ed è quindi, con ogni evidenza, essa stessa una politica, che non sa di esserlo, o non vuole ammetterlo.»
Chi s’astiene –anche se inconsapevole- compie quindi un atto politico.

Può l’astensione raggiungere una massa critica tale da rendere questo comportamento oltre che politico anche consapevole ed efficace?
«S’impreca molto contro la politica, ma attenzione la politica siamo tutti noi » ha detto il Capo dello Stato. Il giorno che si arrivasse al 60% di astenuti, direbbe la stessa cosa? Darebbe l’incarico di formare il governo ad una maggioranza che rappresenta appena il 21% del Paese?
Oppure le indebolite “forze politiche” sarebbero finalmente indotte ad attuare a spron battuto tutte le riforme necessarie al cambiamento?.

La riforma istituzionale per ridurre i costi della politica.
L’abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti.
Una nuova legge elettorale in senso proporzionale.
La riforma del fisco con l’abbassamento delle tasse.
Il rientro dal debito tramite la riforma del welfare.
Ed altro ancora…

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Nella giornata in cui i deputati dell’opposizione si astengono dal partecipare ad una seduta della Camera [ed i giovani indignati scendono in piazza], resta da dire che questo post non costituisce necessariamente un endorsement a favore dell’astensione ma, piuttosto, una riflessione sulla sovranità del popolo.

Nel caso, però, fosse introdotta la patrimoniale (mini o maxi, non ha importanza) e si mettessero le mani sui conti correnti, sappiano i partiti tutti (le Marcegaglia, i Montezemolo ed i Profumo compresi) che non ci sarebbe più trippa per gatti.
L’astensione, passiva, irresponsabile ed inconsapevole –definitela come volete- resterebbe la scelta più efficace del popolo sovrano.


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Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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