IL BLOG DI SERGIO VIVI



martedì 5 maggio 2009

L'Italia de "la Repubblica" e il referendum del 21 giugno 2009

«Leggersi quel “piano di rinascita democratica” scritto trent’anni fa da Licio Gelli e condiviso da una lunga lista di militari, politici, imprenditori e giornalisti fa spavento. Trent’anni dopo l’Italia è diventata come volevano loro. Ma come hanno fatto? Un gruppo di scrittori quest’anno ci ha provato a immaginarsi il futuro, ma è difficile che ci azzeccherà per davvero. Invece loro, tristi politicanti massoni, tripponi incappucciati, banchieri di regime, gente che non ha tanta fantasia … loro non hanno sbagliato un colpo».

Già, come hanno fatto? Questa è la domanda che si pone Ascanio Celestini, sulla rubrica che tiene periodicamente su “I viaggi di Repubblica” (N. 547 del 30 aprile 2009), e che riporta la risposta fornitagli da un signore … che il futuro del nostro paese di allora se l’è vissuto tutto all’estero. «Gli scrittori scrivono con le parole, mentre loro hanno scritto coi giornali e la televisione, con le stragi e il cemento. Voi immaginate il futuro, loro lo costruiscono».

E’ vero, quelli di destra hanno poca fantasia (Berlusconi in particolare). Quelli della sinistra vi ricorrono troppo spesso, tanto da dimenticare la realtà.
Sono stati e sono sempre più, oggi, dei gran bovaristi

(dal Dizionario della Lingua Italiana di GABRIELLI ALDO - Editore: HOEPLI

bovarismo [bo-va-rì-ʃmo] s.m.LETTER Atteggiamento di chi si ritiene diverso da quello che è, costruendosi un mondo immaginario nel quale proietta desideri e frustrazioni che nascono dall'insoddisfazione per la propria condizione reale).

Fossero stati ai fatti, ricorderebbero almeno tre storie.
Il 17 febbraio 1992 il magistrato Antonio Di Pietro, con l’arresto di un “mariuolo”, dette il via all’inchiesta Mani Pulite che, tra l’indignazione mista ad entusiasmo della pubblica opinione, in poco tempo fece piazza pulita dei vecchi partiti. “Di Pietro facci sognare”, “Milano ladrona, Di Pietro non perdona!” erano gli slogan.

Ricorderebbero anche che, in piena tangentopoli, Eugenio Scalfari scrisse, sulla Repubblica, che «questi politici (e questi partiti) dovevano essere mandati a casa tutti». Salvo, poco dopo, pubblicare un articolo di Lord Ralph Dahrendorf dove si sosteneva che soltanto l’affermazione di “un vecchio partito” avrebbe reso possibile il superamento della crisi.

Come, pensai io? Mi hai messo in guardia, per anni, sui limiti e sui crimini del comunismo. Nel giugno del 1956 hai pubblicato sull’Espresso “il più terribile documento umano che sia mai stato scritto da un uomo politico”, il rapporto Kruscev. «Siete ciechi come dei gattini; che cosa accadrà senza di me?» era solito dire Stalin ai suoi per giustificare le grandi purghe di Yagoda (fucilato nel 38, perché poco zelante), Yezov (fucilato probabilmente nel 40) e Beria (ucciso freddamente, pare, nel corso di una drammatica seduta del Comitato Centrale del PCUS nel 53). “La terribile yezovina”, se ricordo bene, fu il titolo di un’altra grande inchiesta dell’Espresso.

Perché tentasse di salvare il Pci-Pds mi è chiaro soltanto ora, dopo l’outing del 19 aprile 2009, in cui Scalfari (gran borghese, liberale di sinistra, uno dei fondatori del partito radicale, poi deputato per il Psi dal 1968 al 1972), ha dichiarato che, dopo la morte di Ugo La Malfa (26 marzo 1979) e cioè dalle elezioni politiche del 3 giugno 1979, ha sempre votato Pci perché era il più conforme alle sue idee liberal-democratiche». Questo nonostante Berlinguer escludesse di compiere qualsiasi abiura nei confronti della storia e dichiarasse di volere rinnovare il partito nella continuità leninista. Da notare che la Repubblica è stata fondata il 14 gennaio 1976 e che, per 17 anni (fino al 6 maggio 1996), è stata diretta da un elettore del Pci. Non c’è niente di male, ma io credevo di leggere un giornale indipendente.

Ieri sera, ad Otto e mezzo, Scalfari ha detto che il Pci ha svolto un’importante azione pedagogica, educando le masse, i borghesi ed anche i superborghesi (sic). Ha detto anche che la cosa che il centrosinistra non ha capito è che dovrebbe riprendere quest’opera pedagogica per tentare di rimuovere, un po’ alla volta, quella mutazione antropologica indotta da Silvio Berlusconi in metà del popolo italiano. Nessuna obiezione. Deve essere vero se, questa mattina, ad Omnibus l’On. Francesco Boccia del Pd ha affermato che il suo partito non intende essere pedagogico, che “noi non abbiamo niente da insegnare”.

Terza storia. Dopo l’inaspettato abbattimento del muro di Berlino, il 9 novembre 1989, s’inasprisce all’interno del Pci il dibattito (iniziato nel 1985) sul cambio del nome. Il 12 novembre il segretario Achille Ochetto rompe gli indugi e dichiara, in una visita al quartiere della Bolognina (a Bologna) la necessità di una svolta. Il 24 novembre il Comitato Centrale dà il via libera. Al termine del 19° congresso (Bologna, marzo 1990) il Pci diventa il Partito Democratico della Sinistra. Inizia la diaspora di chi non ci sta.

Alle elezioni del 1992 inizia il declino del Pentapartito. La legislatura dura appena due anni.
Alle elezioni del 1994 la strada, per il Pds e i partiti alleati, sembrava spianata: gli italiani non avrebbero potuto rifiutare l’offerta di un nuovo soggetto. L’Italia sarebbe finalmente cambiata come volevano loro. Credevano di avere in mano la partita ma, bovaristi com’erano, commisero l’errore più grande. Avevano trascurato l’esistenza dei milioni di persone che non li avevano mai votati, e che non avevano la minima intenzione d’arruolarsi nella “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto.

Sempre ieri sera, ad Otto e mezzo, Scalfari ha spiegato le regole dello scopone scientifico. Chi è di mano deve parigliare, chi è sotto scopa deve sparigliare. Ebbene, il Pds era di mano, Silvio Berlusconi era sotto scopa ed ha sparigliato. Eccome se ha sparigliato. Altro che mutazione genetica. Gli italiani hanno fatto una scelta di campo, come già fecero nel 1948.

Di Pietro, Scalfari ed Occhetto sono stati le levatrici del berlusconismo e di quello che n’è seguito: bipolarismo all’italiana, legge elettorale “porcata”, liste bloccate, cancellazione delle preferenze.
Il Pd e Franceschini, sostenendo il SI al prossimo referendum, saranno i becchini della democrazia rappresentativa.

Che cosa faranno Eugenio Scalfari, Ezio Mauro e Carlo De Benedetti il 21 giugno prossimo: voteranno SI, voteranno NO oppure si asterranno?


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Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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