IL BLOG DI SERGIO VIVI



venerdì 5 febbraio 2010

la Repubblica AFFARI & FINANZA

E’ sempre interessante leggere la Repubblica. Utilizzando, ad esempio, i dati riportati nel servizio di pagina 2 e 3 del supplemento AFFARI & FINANZA N. 4 di lunedì 1 febbraio 2010 (e pochi altri trovati in internet) è stato possibile rappresentare, nel seguente grafico, l’evoluzione del DEBITO PUBBLICO italiano, dal 1994 in poi, mettendo in evidenza, come fa Repubblica, i contributi dei vari governi.

Il 1994 è considerato l’inizio della seconda repubblica perché, quell’anno, entrò in vigore la legge elettorale maggioritaria che produsse un radicale cambiamento del Parlamento.
Si può vedere che, il 10 maggio del 1994 quando entra per la prima volta a Palazzo Chigi, Berlusconi EREDITA un debito pubblico di 959 miliardi d’euro, pari al 115,7 del Pil (31 dicembre 1993).
Dal 1994 fino al 2004 il Debito, in percentuale del Pil, ha cominciato a scendere: 121,8 (Berlusconi) – 121,5 – 120,9 – 118,1 – 114,9 – 113,7 con i governi del centrosinistra; 109,2 – 108,8 – 105,7 – 104,4 – 103,8 - con il governo Berlusconi. Poi 105,8 nel 2005 (Berlusconi) – 106,5 nel 2006 (Berlusconi, Prodi) – 103,5 nel 2007 (Prodi) – 105,7 nel 2008 (Prodi, Berlusconi) – 115,1 nel 2009 (Berlusconi). In termini assoluti, invece, dal 1965 il Debito non ha mai cessato di crescere fino ad arrivare, oggi, a 1.800 miliardi d’euro.


I redattori di Affari & Finanza, nel loro servizio molto ben documentato, mostrano, tuttavia, soltanto una parte del grafico (di fianco alla foto di Berlusconi in prima pagina) che, completato con i dati della tabella a pagina 2, sarebbe questo qui sotto. Pubblicano, separatamente, il grafico del Rapporto Debito/Pil in % e quello del Rapporto Deficit/Pil in %, mentre tralasciano di mostrare il grafico del Debito pubblico in valori assoluti.

Sommando le cifre, si vede che il debito pubblico accumulato dai governi Berlusconi è stato superiore a quello accumulato dai governi Dini, Prodi Uno, D’Alema, Amato e Prodi Due: 430 miliardi di euro contro 349. Il confronto peggiora ulteriormente a svantaggio del centrodestra se i debiti accumulati sono rivalutati al 2009: 261 miliardi contro 80 del centrosinistra.
Quello che si vuole dimostrare è che Berlusconi non può lamentarsi e dire: «Se non avessi trovato questo debito pubblico…», essendo lui stesso l’artefice del disastro.

I redattori del servizio ignorano del tutto quanto successo prima del 1994, vale a dire, il debito accumulato negli ultimi quindici anni della Prima Repubblica (1980-1994) –grande come un macigno- e che questa ha lasciato in eredità alla Seconda ed alla generazione d’italiani nati dopo il 1978.
Paiono anche ignorare che nel 2008, in corrispondenza del quarto governo Berlusconi, è iniziato quel processo che va sotto il nome di CRISI ECONOMICA GLOBALE, che costituisce per lo meno un’attenuante per i 135 miliardi di debito accumulati nel 2009.

Ignorano anche che, in termini assoluti, il Debito non ha mai cessato di crescere e, con questi chiari di luna, si prevede che proseguirà così ancora per molti anni, soprattutto perché, essendo previsto un aumento del tasso d’interesse, aumenteranno gli interessi sul debito da pagare.
Il povero Berlusconi, pertanto, da qui al 2013, può aspettarsi almeno di accumulare altri 200 miliardi di debito; se poi dovesse vincere anche le prossime elezioni … sai che pacchia per i giornalisti di Repubblica.

Tutto quanto detto, assieme a stelloncini che strillano: «Il trucco è prendere i soldi dalle tasche degli italiani senza farsene accorgere», ha permesso d’intitolare lo scoop: «Berlusconi, la fabbrica del debito».

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Più serio il Rapporto / Scudo Fiscale (alle pagine 39, 40, 41) che permette di correggere l’opinione che questo strumento fosse l’ennesima infamia.
«Il fisco sorride: nuovi miliardi in arrivo… I conti definitivi si faranno alla fine ma è certo che la sanatoria ha funzionato meglio di quella francese», il che è tutto dire.


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Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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