sabato 20 ottobre 2007
La prigione dorata
Questa mattina, se non mi avesse messo di buon umore la visione, su MTv, del video clip “The Sweet Escape” dove la solare, bionda e luminosa Gwen Stefani, vestita col classico abito a righe, fugge da una prigione tutta dorata (d’oro le sbarre, d’oro le pareti, d’oro le manette), mi sarei arrabbiato di brutto nel leggere le notizie (sulla Repubblica, poi su alcuni blog) concernenti la riforma dell’editoria e di Internet predisposta dal sottosegretario Riccardo Franco Levi.
Secondo la riforma allo studio, tutti i blogger italiani dovranno iscriversi al ROC (il Registro degli Operatori di Comunicazioni): subire cioè delle restrizioni che equivalgono a rinchiuderli in una prigione per niente dorata.
Per i politici evidentemente i blogger hanno esagerato.
Non solamente Beppe Grillo, quando s’intestardisce a chiedere conto dei 98 miliardi di euro di imposte non pagate dai Monopoli di Stato, ma anche tanti altri blogger, come per esempio Phastidio, che dovrebbe smettere di dare fastidio criticando il modo con cui si stanno buttando via 400/500 milioni di euro nella vicenda del Ponte sullo Stretto.
Anche il Ministro Di Pietro dovrebbe smettere di scrivere che quello del governo “è un comportamento da talebani, a quelli non piacevano i Budda e li hanno buttati giù per motivi ideologici”.
[Purtroppo l’ideologia stenta a morire. Sergio Cofferati un mese dopo essersi insediato a Palazzo d’Accursio fece abbattere le “gocce di Guazzaloca” perché non piacevano alla sinistra. L’unica cosa concreta che ha fatto … poi solo chiacchiere. Tanto che Gianfranco Pasquino, reclamando le primarie per il prossimo candidato sindaco, su Repubblica-Bologna d’oggi, afferma: «… l’attuale capo del governo cittadino non è esattamente il migliore che potremmo avere (e che vorremmo riavere) e … la città di Bologna merita di più»].
Provvedimenti come l’istituzione del ROC fanno venire in mente la censura che vigeva negli anni cinquanta, quando Oscar Luigi schiaffeggiava nei bar le signore troppo scollate, e in televisione le Kessler erano obbligate ad indossare calze nere coprenti.
Oggi, però, mi sembra che si vogliano censurare più le opinioni che i costumi: divertitevi pure, ma non pensate. E’ sintomatico un articolo del Corriere della Sera, di qualche giorno fa, in cui s’informano i lettori dell’esistenza d’alcuni siti molto particolari. Naturalmente il giornale lo fa per una giusta causa: contribuire alla rovina della "Hollywood a luci rosse".
Nella classifica mondiale sulla libertà di stampa l’Italia è al quarantesimo posto, dietro Paesi come l’Ecuador, il Cile e la Corea del Sud.
Di quanti posti scenderemmo, se fossimo costretti a chiudere i blog?
Secondo la riforma allo studio, tutti i blogger italiani dovranno iscriversi al ROC (il Registro degli Operatori di Comunicazioni): subire cioè delle restrizioni che equivalgono a rinchiuderli in una prigione per niente dorata.
Per i politici evidentemente i blogger hanno esagerato.
Non solamente Beppe Grillo, quando s’intestardisce a chiedere conto dei 98 miliardi di euro di imposte non pagate dai Monopoli di Stato, ma anche tanti altri blogger, come per esempio Phastidio, che dovrebbe smettere di dare fastidio criticando il modo con cui si stanno buttando via 400/500 milioni di euro nella vicenda del Ponte sullo Stretto.
Anche il Ministro Di Pietro dovrebbe smettere di scrivere che quello del governo “è un comportamento da talebani, a quelli non piacevano i Budda e li hanno buttati giù per motivi ideologici”.
[Purtroppo l’ideologia stenta a morire. Sergio Cofferati un mese dopo essersi insediato a Palazzo d’Accursio fece abbattere le “gocce di Guazzaloca” perché non piacevano alla sinistra. L’unica cosa concreta che ha fatto … poi solo chiacchiere. Tanto che Gianfranco Pasquino, reclamando le primarie per il prossimo candidato sindaco, su Repubblica-Bologna d’oggi, afferma: «… l’attuale capo del governo cittadino non è esattamente il migliore che potremmo avere (e che vorremmo riavere) e … la città di Bologna merita di più»].
Provvedimenti come l’istituzione del ROC fanno venire in mente la censura che vigeva negli anni cinquanta, quando Oscar Luigi schiaffeggiava nei bar le signore troppo scollate, e in televisione le Kessler erano obbligate ad indossare calze nere coprenti.
Oggi, però, mi sembra che si vogliano censurare più le opinioni che i costumi: divertitevi pure, ma non pensate. E’ sintomatico un articolo del Corriere della Sera, di qualche giorno fa, in cui s’informano i lettori dell’esistenza d’alcuni siti molto particolari. Naturalmente il giornale lo fa per una giusta causa: contribuire alla rovina della "Hollywood a luci rosse".
Nella classifica mondiale sulla libertà di stampa l’Italia è al quarantesimo posto, dietro Paesi come l’Ecuador, il Cile e la Corea del Sud.
Di quanti posti scenderemmo, se fossimo costretti a chiudere i blog?
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1 commento:
Per questa volta li abbiamo presi con le mani nel vasetto della marmellata. Questa vicenda la dice lunga sulla pulsione regolatoria che i soliti noti poppano dalla nascita, col biberon. Vedi anche questa uscita vagamente presaga:
http://epistemes.org/2007/09/19/una-legge-per-i-blog-no-grazie-bastano-i-codici-esistenti/
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