Mi sono affacciato, per la prima volta, alla vita politica e ho formato i miei “animal spirits” in alcune date ben precise.
21 aprile 1945. Ho 11 anni. Bologna è dichiarata città aperta e la gente si mette al sicuro all’interno delle mura. Con la mia famiglia ci siamo sistemati in una stanza degli uffici dove lavora mia madre. Da questo osservatorio privilegiato, un balconcino del palazzo dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni sul fianco destro della basilica di San Petronio, vedo il sorgere di un’alba molto speciale. Verso le sei del mattino tre persone con un labaro attraversano una piazza Maggiore deserta (allora piazza Vittorio Emanuele II) e vanno a prendere possesso di palazzo d’Accursio. Poco dopo, dietro le colonne del palazzo del Podestà, spuntano i soldati polacchi del generale Anders. Alle dieci del mattino l’apoteosi degli americani in un tripudio di folla.
E’ la fine di un incubo: da quel giorno per me gli americani sono e resteranno i Liberatori.
Il 27 maggio 1956, alle elezioni amministrative, voto per la prima volta. Scelgo l’Alleanza Radicale Repubblicana (simbolo: testa di donna con berretto frigio). Memorabile ed entusiasmante il comizio di Niccolò Carandini e di Cino Macrelli al cinema-teatro Astra.
Giugno 1956. L’Espresso pubblica in due puntate il rapporto KRUSCEV, titolando « Ecco il più terribile documento umano che sia mai stato scritto da un uomo politico»
23 ottobre 1956. Inizia la rivolta ungherese. All’università leggiamo i resoconti di Indro Montanelli e guardiamo le foto di John Sadovy, Michael Rougier, Erich Lessig, Rolf Gillhausen sullo Special pubblicato da Time-Life (digitanto questi nomi su Google, qualche foto si dovrebbe trovare).
Faccio la mia scelta di campo definitiva: non si può essere comunisti.
Alle politiche del 1958, nella circoscrizione Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì, riusciamo a conquistare per Ugo La Malfa l’unico quoziente nazionale, salvando così la presenza del PRI in parlamento (il quoziente ottenuto permette il recupero, coi resti, di qualche altro seggio).
Autunno 1969. Inizia l’autunno caldo per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Lavoro da alcuni anni alla GT&E (adesso Siemens) di Cassina de’ Pecchi. Stipendio netto di settembre ’69: 176.000 lire. Ogni pasto al ristorante toscano mi costa 1.400 lire, l’affitto mensile del miniappartamento a Cernusco sul Naviglio 20.000 lire.
Lavoro -ultima ruota del carro- al progetto del Paramp (amplificatore parametrico), apparecchiatura che serve per la ricezione del segnale proveniente dai satelliti e utilizzato, oltre che dalla Telespazio nelle stazioni della piana del Fucino, dagli americani nelle stazioni terrestri situate lungo l’equatore e collegate ai satelliti che spiano l’URSS.
(Realizzo, a distanza di tempo, che io e miei colleghi, pendolari tra Milano e Bologna, Reggio E., Rovigo, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Palermo, eravamo i fruitori di una specie di delocalizzazione: gli americani progettavano e fabbricavano qui, a costi minori, molti prodotti sfruttando il fatto che le Università italiane formavano dei buoni tecnici. Adesso tocca agli indiani e ai cinesi. Anche la globalizzazione sfrutta il principio dei vasi cominicanti: il lavoro passa dove costa meno).
Il primo sciopero è indetto, un pomeriggio, per l’ultima mezzora di lavoro.
Al termine dell’orario i cattivi, per uscire, sono costretti a passare lungo un corridoio formato da due file di buoni e sono coperti d’insulti. Essendo abituato alla bonomia dei compagni emiliani, la cosa mi sorprende e mi riporta alla memoria l’episodio del film “Per chi suona la campana”, dove un gruppo di sventurati è fatto passare lungo un corridoio di persone che a randellate li fanno precipitare in un burrone. Scopro, in seguito, che i più combattivi non sono quelli della CGIL bensì quelli della CISL.
Senza rendermene conto, ho fatto conoscenza con i cattocomunisti.
Sempre in quegli anni mi capitava di vedere, la sera o nei pomeriggi del sabato, a Milano, i cortei dei gruppi extraparlamentari come, ad esempio, Servire il Popolo che percorrevano le strade attorno a Piazza del Duomo. Mentre cercavo di metabolizzare il fatto di essere diventato in una sola mezzora -nonostante una vita, mediocre sì, ma rispettosa degli altri- “un topo di fogna”, osservavo tra me e me: «Ecco gli eredi di Stalin!».
«Ma lui aveva paura di noi.
Credeva alla grandezza della meta
ma non che i mezzi
dovessero esser degni della grandezza dei fini.
Vedeva lontano, conosceva le leggi della lotta.
Ha lasciato, sul pianeta, molti eredi.»
Evghenij Evtuscenko “Gli eredi di Stalin”.
Alcuni versi (da Il Giorno – pagina 6 – 21 novembre 1962)
Negli anni successivi (ero rientrato a Bologna nel giugno 1970) mi barcameno tra PRI, Radicali e, una volta, anche Socialisti. Un must è, però, il voto alle comunali –fino che si candida- per il mio Prof di Storia e Filosofia, repubblicano, mazziniano nonché ex partigiano. La mia linea di condotta è niente voto al PCI ed al MSI, ma neanche alla DC che con Oscar Luigi censura i film e le trasmissioni TV. Col tempo, la mia bestia nera diventa la burocrazia. Una mattina in fila per rinnovare il bollo auto all’Aci. Nella denuncia dei redditi, da presentare in triplice copia devi scrivere ventisette volte il tuo codice familiare, quello di tua moglie e quello di tua figlia. Idem per la denuncia della moglie. Spesso alle elezioni amministrative annullo la scheda per protesta. La prima volta contro l’istituzione dell’ora legale: ci sono le regole dei fusi orari e le regole, come c’insegnano i Verdi, devono essere sempre rispettate.
Anno 1992. Da anni raccolgo gli editoriali di Eugenio Scalfari. In uno di questi, in piena tangentopoli, scrive che «questi partiti (o questi politici) vanno mandati a casa tutti». Poco dopo, però, pubblica un articolo di Lord Ralph Dahrendorf dove si dice che soltanto l’affermazione di “un vecchio partito” renderà possibile il superamento della crisi. Non sono sicuro che questo fosse l’intendimento di Dahrendorf, ma per me rappresenta lo “sdoganamento” del PCI da parte di Repubblica (quella volta Number One non reclama nessuna tessera). Naturalmente non sono d’accordo. Da qui inizia il mio distacco dalla linea del giornale. A me della faida Berlusconi-Debenedetti, mediatore Ciarrapico (Andreotti), per la proprietà della Mondadori non me ne può fregare di meno.
Mi sento come il mitico Cipputi che chiede «e il mio animal spirit?» e si sente rispondere: «il suo animal spirit se lo ficchi in tasca, a lei non competono gli animal spirits, a lei compete la moderazione e la responsabilità».
Comunque sia, in quell’occasione, prendo per buono il consiglio di Scalfari e, alle elezioni politiche, «faccio lega con chi mi lega».
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Soltanto in questi anni ho appreso che tra “la bella gioventù” che sfilava in quei cortei avrei potuto vedere, tra gli altri, Gad Lerner, Paolo Mieli, Lanfranco Pace, Renato Mannhaimer e Barbara Pollastrini. Non mi sembra che alcuni di questi, i suoi spiriti animali se li sia mai ficcati in tasca. Perché dovrei farlo io?
Venendo alle politiche 2006 osservo che nell’Unione si trovano Rifondazione Comunista, i Comunisti Italiani, gli ex-comunisti DS (complessivamente un buon 60% dell’Unione) e c’è anche Oscar Luigi. Mentre nella Casa delle Libertà gli ex missini sono, al massimo, il 15%. Peccato che ci sia anche il 5% dell’UDC. Per la Rosa nel Pugno non posso votare, rischierei di fare eleggere con i resti uno dei Verdi.
Se voterò privilegerò il divertimento e la creatività. Preferirò il “Cavalier Banana” ad Oscar Luigi e quel “delinquente” di Tremonti al “grande semplificatore” Vincenzo Visco.
1 commento:
8 commenti recuperati:
rob ha detto...
Questo è un excursus storico-politico e autobiografico che ha il grande merito di ricordare al lettore che ognuno di noi ha una storia, e non soltanto delle opinioni e delle preferenze. E che quelle storie non sono acqua fresca.
Ieri avevo abbozzato un post simile al tuo, poi mi sono fermato per mancanza di tempo e perché non ero sicuro che la mia storia potesse interessare al lettore. Ma leggendo il tuo post e misurando la mia reazione al "genere letterario" mi sono convinto che forse vale la pena di completare il lavoro.
Lasciamo stare le conclusioni, che sono sempre "contingenti" e personali, e possono concordare come no, l'importante è stabilire il principio che non si può prendere a calci la propria soria. Siamo chiamati ad un minimo di coerenza.
Certo, si può e a volte si deve cambiare idea, ma non fino al punto di venir meno a delle scelte di fondo che sono il risultato di esperienze fondamentali, di lunghe riflessioni, di incompatibilità e di vicinanze che non sono soltanto e soprattutto "di pelle," perché affondano le proprie radici, appunto, in ciò su cui uno ha edificato, mattone dopo mattone, la propria esistenza, il senso della propria "cittadinanza."
A risentirci. E grazie per questa bella pagina di storia.
wrh
08 aprile, 2006 09:26
Sergio Vivi ha detto...
Grazie per l'apprezzamento.
Se avessi pubblicato tu un post simile probabilmente non avrei osato.
D'accordo: le conclusioni sono più di pancia che ispirate al principio dell'accountability.
Ma questo fa il paio con la legge elettorale fatta più coi piedi che con la ragione.
Aspetto di leggere il tuo post.
Ciao. Vivi
08 aprile, 2006 22:32
rob ha detto...
Per ora mi sono limitato a linkare il tuo post, domani chissà. Ciao
wrh
08 aprile, 2006 23:44
walt ha detto...
Un ottimo post, incorniciato da un commento che gli rende pienamente giustizia. Siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Saluti.
09 aprile, 2006 12:19
walt ha detto...
Dimenticavo: appena posso aggiungo questo blog ai miei link. Ciao
09 aprile, 2006 12:21
egine ha detto...
ma non ti sembra che dopo cinque
anni di divertimento sfrenato
con "cavalier banana" e il sempre
gioviale Tremonti, sia giunta l'ora
di cambiare canale, certo nessuno
si aspetta altrettanta euforia dall'armata brancaleone che mi
appresto a votare, ma un pò di relax non penso ci possa nuocere.
Per inciso, alcuni, di quella
bella gioventù che sfilava nei vari cortei di LC o PO oggi scrive. per il Foglio, e puoi leggere le loro intenzioni di voto
sullo stesso giornale, vanno matti per Forza Italia, quella è gente,
che il conto lo fà sempre pagare ad altri, per "un altro giro di
giostra" ti auguro compagni migliori. Con stima
egine
10 aprile, 2006 01:43
Sergio Vivi ha detto...
L’espressione «cambiare canale» si adatta molto bene al nostro caso.
Per cambiare canale serve il telecomando.
Con il voto si può cambiare politica.
I consigli, gli inviti e le sollecitazioni sono sempre graditi.
Resta il fatto che i due strumenti, in democrazia, sono di insindacabile uso dell’individuo (lo so è una brutta parola, ma cooperativo e solidale, profferite da certe persone in certi contesti, non sono meglio).
Non ho detto che i cinque anni passati sono stati anni di divertimento. Anzi, sono d’accordo con chi scrive che « … tristezza,malinconia e sbadigli, moltissimi li hanno vissuti nei cinque anni appena trascorsi».
Comunque, attualmente, il mio cruccio maggiore è l’abolizione del canone TV (non per i soldi, ma per il fastidio di dovere andare in posta a pagare).
Io do molta importanza ai numeri. Per questo ribadisco che ha più cattivi compagni di strada chi vota Ulivo di chi vota la Casa delle Libertà.
Ciao, a risentirci.
P.S. Stanno arrivando i primi exit-pool. Si sta profilando il legittimo trionfo.
10 aprile, 2006 16:02
egine ha detto...
caro Sergio, purtroppo non trionfa
nessuno anzi si profila un impasse
assai dannosa per il paese, ma
tantè, per quanto riguarda il canone, data la situazione purtroppo non sarà in cima alla lista delle cose da fare.
Sempre con stima
11 aprile, 2006 01:06
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