Il progetto della filovia protetta 14 prevede l’istituzione di una seconda corsia preferenziale –in aggiunta a quella già esistente- in Via Andrea Costa, tra la rotonda Fulvio Bernardini (Bar Stadio) e Porta Sant’Isaia, con l’obiettivo dichiarato di risparmiare 7 minuti lungo il percorso di 13 chilometri dalla Barca al Pilastro (o da Borgo Panigale a San Lazzaro?) e di avere meno inquinamento. Alla seconda corsia si oppongono i commercianti che accusano l’assessore alla mobilità Zamboni di voler «massacrare» via Andrea Costa, mostrandosi poco inclini a ritenere la FAV bolognese (Filobus Alta Velocità) il miglior progetto nel campo delle infrastrutture dopo la TAV della Valle di Susa.
Per percorrere i circa 400 metri dal bar Stadio alla porta, alla velocità urbana di 50 Km/ora, occorrono circa 30 secondi. Poi ci sono tre semafori (90 sec), tre fermate (90 sec), sei fra decelerazioni, accelerazioni e tre frenate (90 sec). Totale 5 minuti. Più o meno come adesso.
Il 18 aprile su la Repubblica, a pagina 47, si legge: «In Italia sono sempre più le aziende costrette a chiudere i battenti, sfiancate, impotenti. In un anno dal 2004 al 2005, le imprese che hanno dichiarato fallimento sono aumentate del 3,4%, sfiorando così quota 10.000. Sono per la precisione 9.969. Ad abbandonare definitivamente l’attività sono stati soprattutto i negozi, grandi e piccoli. Un’impresa su quattro tra tutte quelle costrette lo scorso anno a portare i libri in tribunale lavorava proprio nel settore del commercio, in sofferenza per il calo dei consumi».
L’assessore assicura che ascolterà proposte alternative purchè rispettino «la filosofia che sta alla base del progetto». Ma l’impossibilità, per le auto, di fermarsi anche temporaneamente dà certo da pensare.
C’è, poi, chi, ritenendo questa strada un’isola felice, un insieme di piccole comunità, mette in guardia dal minarne l’esistenza. «Purtroppo quest’amministrazione, come tante altre in passato, è responsabile della chiusura dei cinematografi ubicati in centro. Non c’è da parte dell’amministrazione un senso di tolleranza per le attività commerciali del centro in generale e dei cinema in particolare. … Si ricorda che i cinema aperti di sera, così come i bar e i ristoranti, sono luci accese contro il buio e il degrado e che per tale motivo dovrebbero essere aiutati e non danneggiati» (Alessandro Moranti Berselli, cinema Chaplin, Repubblica-Bologna, 19 aprile 2006). Questo vale anche per gli esercizi commerciali di Via Andrea Costa e per quelli di tutte le altre isole felici della città e questo vale anche di giorno.
Purtroppo è pericoloso cambiare le abitudini della gente. Se un bar frequentatissimo chiude, quando, poco dopo, qualcuno lo riapre si accorge ben presto che i clienti non ci sono più. Hai voglia rinnovare gli arredi, mettere il televisore con Sky, l’aria condizionata, costruire davanti al locale un elegante dehors. I clienti si sono trasferiti da altre parti e non tornano più indietro. Per questo non regge l’esempio, fatto dall’assessore, della Via Zamboni, prima riaperta al traffico dal Sindaco Guazzaloca, per ovviare al degrado, poi subito richiusa per mancanza di risultati.
Ricordi personali
«Ciascuno acquista senso nel suo esistere soltanto attraverso la ragnatela di riferimenti simbolici e di memorie che gli trasmettono valori essenziali di una specifica cultura locale»
(Ulderico Bernardi, Avvenire, 19 aprile 2006)
Nella primavera del 1942, feci il primo viaggio della mia vita. Dovendo trasferirci da Sassuolo a Bologna, percorremmo la Strada dei Castelli, passando da Maranello e da Vignola, e ci fermammo, con l’ultimo camion di masserizie, al Dazio del Ghisello (il trasloco vero e proprio era già avvenuto). Mentre mia madre con mio fratello più grande espletava le dovute formalità (riuscendo a fare passare per vino un’ottantina di bottiglie d’olio d’oliva mescolate a quelle del vino bianco), io e l’altro mio fratello andammo a leggere il nome della strada: Via Duca d’Aosta (così si chiamava Via Andrea Costa prima della fine della guerra).
Fu la prima strada di Bologna che imparai a conoscere e a percorrere. L’ ho percorsa per una vita e la percorrerò, presumo, ancora per i prossimi vent’anni, magari col filobus ad alta velocità. Abitando a quei tempi in via Dal Lino, all’inizio la percorrevo per andare alle elementari Costanzo Ciano mentre, per andare alle medie di Piazza San Domenico, prendevo l’11 e scendevo dal tram in corsa alla curva di piazza Galvani. Sempre coll’11 fino alla porta Sant’Isaia per andare al Righi.
La domenica, invece, la percorrevo a piedi con i miei amici, per andare al cinema.
Il ritrovo era al bar del CRAL a cento metri dallo Stadio.
Il CRAL era anche Casa del Popolo, Sezione del PCI, del PSI, del PSIUP, della FGCI, della FGSI, dell’ANPI, d’Italia-URSS, d’Italia-Cina, insomma un vero centro di pluralismo.
Era stato costruito con pochi soldi e molto lavoro volontario. Anche noi “cinni”, qualche volta, avevamo dato una mano andando a recuperare pietre usate alla Stazione della Funivia, rasa al suolo da un bombardamento, pietre che i muratori, nel tardo pomeriggio, pulivano dall’intonaco con la martellina e mettevano a bagno nell’acqua facendole ridiventare nuove.
Al CRAL si facevano ovviamente le assemblee politiche, ma questo riguardava soltanto la stragrande maggioranza dei frequentatori. Tutti erano bene accolti, a patto di non mettere in discussione il fatto che l’URSS era il paradiso in terra o che Saragat era il traditore della classe operaia, pena una lunga paternale … che nemmeno a Mosca le guide, tanto care a Gianni Guelfi, ti impartivano (sulla guerra vittoriosa di Stalin sul nazismo) prima di portarti a visitare la tomba di Lenin.
Al CRAL giocavamo a ping pong e, il giovedì sera, guardavamo Lascia e Raddoppia ammassati nella saletta della televisione. Ma il CRAL era soprattutto il Giardino delle Rose, una “balera alla Filuzzi” dove imperava sovrano il Trio di chitarra, contrabbasso e organetto bolognese del Maestro Leonildo Marcheselli. Terminate le danze, via su per i colli in vespa o in galletto anche senza l’accompagnamento dei Luna Pop.
Il Maestro, più che novantenne, lo si vedeva sbucare in Andrea Costa da via Rappini, dove abitava, ancora qualche anno fa.
Quanti esami ho preparato, nelle sere d’estate, al suono di valzer, tanghi e mazurche! Ricordo che una domenica sera ero impegnato sul teorema di Mohr (Scienza delle costruzioni / sulle sollecitazioni delle travi appoggiate a due estremi). Non avevo voglia di applicarmi. Dalla finestra spalancata su San Luca entravano una leggera brezza e la musica dell’organetto. Indugiai a lungo su quelle due pagine leggendole più volte. Capitò che all’esame mi chiesero proprio quel teorema e mi portai a casa un bel 22 al primo colpo.
Partendo dal CRAL, imboccavamo via Andrea Costa per dirigerci verso il cinema. Se non ci fermavamo all’Olimpia le mete erano il Nosadella, il Sordomuti, oppure in centro il Contavalli o l’Odeon. Tutti cinema rigorosamente di seconda o terza visione. In un certo periodo fu in auge anche il Teatro Apollo, citato da Fellini, per via dell’avanspettacolo.
A volte la “balla” dei più grandi, giunti in Via Barberia -quasi davanti alla federazione- svicolava per le stradine a sinistra, certi del fatto che Totò non aveva ancora cercato casa.
Una volta compimmo, salvo una leggera deviazione, tutto il percorso previsto attualmente per il bus 14 -andata e ritorno a piedi- per andare al Moderno in Via Venturoli a vedere «I crociati» un film del 1935 di Cecil B. De Mille con Loretta Young.
Il Morandini Zanichelli Editore
Balle! A noi il film piacque moltissimo. Eravamo di bocca buona noi del Lino, mica come quelli di Saragozza, che senza un sottofondo di musica jazz non partivano nemmeno per una gita scolastica.
Purtroppo il tempo ha inferto alla strada alcuni colpi. Uno è stato la chiusura del Bar Europa, sede di allegre brigate e protagonista, con una propria squadra di calcio, degli indimenticabili Palii notturni estivi dei bar che attiravano allo stadio tanta gente quanta ne attirava una partita di campionato. Un secondo, la perdita della baracchina dei gelati dei “Baffi”. Singolare il modo in cui avvenne. Una notte una macchina raddrizzò la curva a destra (per chi viene dallo stadio), abbattè la cabina della Telecom davanti alla Chiesa di San Paolo, la cabina fece da trampolino all’auto che decollò da terra andandosi a posare 15 metri più avanti sul tetto del chiosco, facendolo crollare.
Il Comune non dette più il permesso per riaprirla con la scusa che il posto era pericoloso. La cabina del telefono, invece, fu prontamente ripristinata. Evidentemente per Telecom si può anche rischiare! Così, da molte estati, la gente invece di uscire per andare a mangiare il gelato dai “Baffi” se ne sta rintanata in casa a farsi plagiare dalla TV, poi magari, si tura il naso (come consigliato da Indro Montanelli nel 1976 per evitare il sorpasso del PCI di Berlinguer ai danni della DC di Zaccagnini) e va a votare per il Cavaliere.
Anche il CRAL non c’è più. Al suo posto due palazzine quasi identiche alle due costruite dove sorgeva il cinema Moderno.
Nonostante tutto, in Andrea Costa si vive a lungo. Nell’ultimo bollettino parrocchiale (Aprile-Agosto 2006) nell’elenco degli addii [ Requiescant in pace! ] su 33 nomi si contano 21 ultra ottantenni: un 80, un 81, due 82, un 85, due 86, un 88, un 89, un 90, tre 93, un 94, quattro 95, un 98, un 99, un 101. Che cosa volete che ce ne importi del filobus veloce!
Torniamo alla vicenda della doppia corsia.
Che cosa delibererà, alla fine delle discussioni, la Giunta Comunale?
Finirà che il Sindaco, ascoltato più o meno attentamente il parere dell’Assessore alle Attività Produttive, confermerà quanto deciso dall’Assessore alla Mobilità. D’altra parte Cofferati ha ben altro a cui pensare.
Giovedì 13 aprile Pierluigi Bersani è andato a scambiare con Lui qualche idea. Non hanno certamente parlato della FAV. Probabilmente del modo migliore di contrastare Rifondazione. O, ancora, avranno valutato se sia giunto il momento di trasformare una risorsa della sinistra in una risorsa dei DS (magari la segreteria del partito?). Questo partito ha un grosso problema. Il 17% di voti, che alla fine degli anni 80 rappresentava per Bettino Craxi l’obiettivo da raggiungere, rappresenta invece per i DS la perdita di rilevanza che stanno pericolosamente subendo nella politica italiana. E’ un partito che si va ossificando. In Italia è il destino di tutti i riformisti.
Ha scritto la Sibilla Cumana: «Sul territorio il manicheismo attecchisce molto meno. Il famoso confine tra le due Italie sbiadisce. Il sindaco di Bologna è di sinistra, eccome se lo è, ma quel confine l’ha fatto scavallare con i fatti e i comportamenti» (Eugenio Scalfari nel suo articolo di fondo di domenica 16). Ha tutta l’aria di un’investitura.
Anche le chiese politiche si stanno secolarizzando ed è naturale che i “fedeli” restino legati alla ortodossia. A sinistra c’è ancora voglia di gusti forti che solo Rifondazione e Comunisti Italiani sembrano esaudire. Chi meglio del “cinese” può cercare di arginare quella perdita?
Da parte sua l’Assessore Zamboni, da un po’ di tempo, stando alle cronache, sembra in preda a dubbi amletici. Per rimanere fedele alla politica della legalità dello «scavallatore» si è dimesso da Rifondazione. Ha deliberato il blocco del traffico il giovedì, ma il 9 febbraio l’ha sospeso attirandosi le ire dei “comitati”. Ha deliberato i lavori di asfaltatura di via Lame (asfalto al posto dei cubetti di porfido) poi, di fronte alle proteste dei cittadini, li ha sospesi. Il bello è che se la prende coi bolognesi. Viviamo in una strana città, dice, «vogliono gli autobus più veloci, ma se tenti di farlo dicono che non serve più». Inoltre, proprio in questi giorni, è stato “interrogato” dalla componente DS del Consiglio che, dopo un lungo periodo di sofferto e silenzioso appoggio alla Giunta, ha deciso di uscire da questa «sudditanza psicologica … e di farsi sentire di più».
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Tutti abbiamo un auto, anche gli ambientalisti. La maggioranza dei cittadini utilizza il mezzo privato che è sempre meno uno status symbol e sempre più uno strumento di lavoro. I percorsi dei mezzi pubblici sono rigidi, non portano da per tutto, sono insufficienti. Con la doppia corsia preferenziale non sarebbe possibile neanche la fermata temporanea. L’auto permette la flessibilità. La mia opinione è che nelle strade, se la larghezza è sufficiente, devono sempre esserci, su di un lato, le strisce bianche per il parcheggio.
Segnali di ripresa dopo il taglio delle stime dell’Fmi
Energia e automobili spingono il fatturato
Aumento del 6,3%, ritmo doppio per l’estero
Sempre a febbraio 2006, rispetto allo stesso mese di un anno fa, il fatturato ha segnato gli aumenti più marcati per … la produzione di mezzi di trasporto (11,1%) …
(Corriere della Sera, 21 aprile 2006)
Non si può dire «comperate l’automobile e lasciatela in garage». Demonizzare l’auto rende antipatici. Non occorre che lo dica Luca Ricolfi.
Il sindaco Dozza –comunista, eccome se lo era, ma bolognese come Guazzaloca- non avrebbe mai fatto un torto del genere ai commercianti e ai cittadini, di nessuna strada.
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Proposta alternativa.
Poiché l’Assessore si dice disposto ad ascoltare, faccio una proposta alternativa.
Come si sa una corsia preferenziale è per la maggior parte del tempo inutilizzata.
Perché non si «banalizza» quella esistente?
Dal dizionario De Mauro (CO comune, TS tecnico-specialistico):
banalizzàre v.tr.
Quando due mezzi si incontrano quello che marcia nel senso del traffico privato si porta al centro della strada, poi rientra. I privati saranno ben lieti di agevolare la manovra.
Le fermate in un senso e nell’altro saranno sfasate di 30 metri.
Rispetto alla situazione attuale, sposterei soltanto la corsia preferenziale dall’altro lato della strada, perché i marciapiedi, nel complesso, mi sembrano più larghi.
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