IL BLOG DI SERGIO VIVI



lunedì 28 gennaio 2008

L'Italia è una repubblica fondata ... sui nasi turati.

« L’aria che si respira fra la gente si è fatta pesante. Non c’è speranza né rabbia, non c’è voglia di cambiare né impegno. Solo una grande rassegnazione, e un cocktail pericoloso di scetticismo e di paura per la situazione economica delle famiglie. Governi, Confindustria e autorità statistiche tentano periodicamente di rassicurarci, raccontandoci che in questi anni il potere di acquisto delle famiglie è aumentato. Ma la realtà, molto probabilmente, è che le statistiche non sono
state in grado di registrare lo «scalino» dell’euro (fra il 2002 e il 2003), e ora sottovalutano le difficoltà delle famiglie a far quadrare i bilanci». ( Le nostre paure più grandi, Luca Ricolfi, La Stampa, 17 dicembre 2007)

L’economia italiana ristagna.
Pensioni, salari e stipendi sono i più bassi d’Europa.
I prezzi dei beni di prima necessità sono i più alti.
Per aumentare i consumi, occorrerebbe aumentare il potere d’acquisto delle famiglie.
Diminuendo le tasse e/o aumentando pensioni, salari e stipendi.

Non si possono, però, diminuire le tasse se non diminuiscono le spese pubbliche correnti (cioè gli stipendi degli impiegati statali, le pensioni, i costi della sanità).
Non si possono aumentare i salari e gli stipendi se non si aumenta la produttività.
Se non si punta, cioè, sulla formazione e sull’innovazione.

E’ il monito che ci arriva da un esperto al di sopra delle parti.
«Del discorso del Governatore della Banca d’Italia moltissimi italiani coglieranno soprattutto il richiamo a considerare che una riduzione di imposte si può avere solo a fronte di una riduzione della spesa pubblica corrente; si tratta di un richiamo duro ma necessario per una classe politica e
un’opinione pubblica che periodicamente si illudono di realizzare la prima ma non la seconda. Ugualmente necessaria è l’indicazione di uno «scatto di produttività» senza il quale è illusorio pensare di aumentare i salari e per conseguenza il basso livello attuale dei consumi …» (Borse in crisi e nuovi padroni dell'economia, Mario Deaglio, La Stampa, 20 gennaio 2008)

Diminuzione delle tasse
Il dimissionario Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Economia e il suo Vice alle Finanze ci hanno assicurato che verrà realizzata utilizzando i “tesoretti ricavati dalla lotta all’evasione”, se questi diventeranno “strutturali” e se la crescita mondiale non rallenterà.

Due eventi altamente improbabili.
«Un brusco rallentamento della crescita mondiale avrebbe effetti negativi anche sulle entrate fiscali: i tesoretti di Vincenzo Visco sono maturati in gran parte sul lato delle imprese (nei primi 10 mesi del 2007 il gettito derivante dall'imposta sui profitti aziendali è cresciuto del 35,4% rispetto al medesimo periodo del 2006) e di fronte a una congiuntura negativa il miracolo non si ripeterebbe». (La fregola del tesoretto, Dario Di Vico, Corriere della Sera, 12 gennaio 2008)

Produttività
«E’ come un gioco di prestigio: quando si fanno i confronti della produttività per addetto, settore per settore, l’Italia non esce affatto male. Il numero di ore, o il numero di lavoratori necessari per
produrre in Italia un’auto, un frigorifero, un paio di scarpe o un gelato rientra ampiamente nella media europea. Quando invece si sommano i dati dei vari settori e si fa il confronto complessivo, l’Italia precipita in fondo alle classifiche della produttività, dell’efficienza, dell’innovazione.

Il mistero è presto svelato. È questione di pesi: l’Italia si è sempre più concentrata nei settori in cui la produttività cresce poco mentre ha abbandonato quelli in cui la produttività fa balzi enormi. I settori nei quali la produttività per addetto è molto elevata, come l’elettronica, il software e tutte le applicazioni di Internet sono quasi inesistenti in Italia». (Se il Paese scende dal treno, Mario Deaglio, La Stampa, 6 novembre 2007)

Il prof. Deaglio ricorda l’indifferenza con cui il Paese ha lasciato chiudere l’Olivetti o venduto le attività chimiche di Montedison e di Enichem o si è si è sbarazzato come se fosse robaccia di una grande industria farmaceutica come Farmitalia Carlo Erba.
Purtroppo le nostre Università non hanno sfornato dei Bill Gates, degli Steve Jobs, dei Sergey Brin e dei Larry Page.
L’unica nuova realtà industriale ad alto valore aggiunto sorta negli ultimi decenni è stata Mediaset. Ha ricevuto sì aiuti politici, ma non soldi. (Quante volte il governo francese ha aiutato le sue industrie?)
Ne fossero sorte altre di aziende come Mediaset che ha creato posti di lavoro, macinato utili e pagato le relative tasse.

Addirittura, dopo avere comperato le aziende italiane più valide, gli stranieri cercano ora di restituirci i settori delle stesse meno redditizi. E’ di questi giorni la notizia che la Nestlè mette in vendita “la pasta e i biscotti Buitoni”: ormai si tratta di una commodity e per poter guadagnare sono necessari grossi volumi. Il brand Buitoni, però, resterà di proprietà della Nestlè che manterrà il controllo delle attività a maggior valore aggiunto come, ad esempio, i surgelati. (la Repubblica, pagina 47, 24 gennaio 2008)
E’ un affare che vale ricavi per cento milioni di euro. Occorre un “progetto” industriale che rilanci il brand, puntando sui grandi numeri (soprattutto in fatto di esuberi) e sul contenimento dei salari.
Si troverà certamente qualche “business angel” con la vocazione di fare “l’imprenditore a progetto”.

Formazione e innovazione
I politici non mancano occasione per proclamare che bisogna puntare sulla scuola e sulla formazione dei giovani: i laureati in materie scientifiche sono troppo pochi.
In effetti i laureati in materie scientifiche sul totale laureati sono il 7% e gli occupati HI-Tech (laureati e diplomati) nell’industria sono il 7,4%. (la Repubblica, pagina 11, 24 gennaio 2008). Peccato che ben pochi dei nuovi laureati scientifici trovano lavoro. E che quelli che lo trovano sono assunti con contratti a progetto o a tempo determinato e pagati 900-1000 euro il mese anche se si sono laureati col massimo dei voti.

Conclusione
«Possiamo fare qualcosa? Sì, liberarci il più in fretta possibile di questo ceto politico, e non credere a chi proverà a prenderne il posto sventolando ricette semplici e promettendo soluzioni rapide».
( Le nostre paure più grandi, Luca Ricolfi, La Stampa, 17 dicembre 2007)

Sul fronte dell’economia, penso che si tratti di un’impresa impossibile come quella della quadratura del cerchio.
Sull’auspicio di Ricolfi, temo che “strano e i suoi fratelli” -di entrambi i poli- stiano già preparando i cannoli per festeggiare.


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Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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