IL BLOG DI SERGIO VIVI



lunedì 19 febbraio 2007

2007 Index of Economic Freedom

Romolo traccia con l’aratro il confine di Roma.
Sala dei Carracci – Palazzo Magnani – Bologna
Sede di UniCredit Banca


Venerdì 16 febbraio, nella sede di UniCredit Banca, è stato presentato al pubblico il “2007 INDEX of ECONOMIC FREEDOM”, elaborato dalla Heritage Foundation e dal Wall Street Journal, con la collaborazione di alcuni think tank europei fra cui, per l’Italia, l’Istituto Bruno Leoni.
Sono intervenuti il senatore Franco Debenedetti, il Professor Angelo Panebianco, Tim Kane della Heritage, Antonio Pilati dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Roberto Nicastro amministratore delegato di UniCredit Banca e Kyle Wingfield del Wall Street Journal Europe, coordinati da Alberto Mingardi dell’Istituto Bruno Leoni.

Vi sono 10 libertà, misurate su una scala da 0 a 100.
Il punteggio complessivo è la media (pesi uguali).

L’Italia ha ottenuto i seguenti punteggi (tra parentesi quelli di Hong Kong, primo in classifica):

1. Libertà d'impresa - facilità di avviare un'impresa: 73,7 (88,3)
2. Libertà di scambio - tariffe e barriere doganali: 76,6 (80,0)
3. Libertà fiscale - aliquote fiscali e gettito: 68,5: (95,3)
4. Libertà dallo Stato - spesa pubblica e proprietà statale: 46,4 (91,6)
5. Libertà monetaria - inflazione e controlli sui prezzi: 80,8 (91,1)
6. Libertà d'investimento - libertà di movimento dei capitali: 70,0 (90,0)
7. Libertà finanziaria - istituti bancari: 60,0 (90,0)
8. Diritti di proprietà - fisica e intellettuale: 50,0 (90,0)
9. Libertà dalla corruzione - percezione della corruzione: 50,0 (83,0)
10. Libertà del lavoro - flessibilità del mercato del lavoro: 57,6 (93,6)

Punteggio complessivo: 63,4 (89,3)
Posizione in classifica: 60esimo posto (primo posto)

Alcuni commenti

Uno.Mi sembra paradossale il primo posto di Hong Kong. L’isola (con i territori annessi), pur essendo un sistema economico a sé stante fin dai tempi dell’impero britannico e pur essendo costituito in Regione Amministrativa Speciale, fa comunque parte, da dieci anni, della Repubblica Popolare Cinese. Notare la stridente differenza di punteggio per quanto riguarda in particolare la libertà fiscale e la libertà dallo stato. Evidentemente in Cina non ci sono più i bei comunisti di una volta come, invece, qui da noi sono i Bertinotti, i Giordano, i Marco Ferrando e i Diliberto. E nemmeno i democratici di sinistra come Vincenzo Visco. E’ anche una prova ulteriore che la politica, quando vuole, può mettere dei confini e frenare l’economia ma, al contrario, soltanto col laisser faire è in grado di favorire la crescita e lo sviluppo.
Due. Se si fosse attuato (e avesse effettivamente funzionato) il disegno di legge di Capezzone per rendere possibile l’apertura di un’azienda in un giorno, l’Italia avrebbe ottenuto, in Libertà d’impresa, almeno lo stesso punteggio dell’Australia (dove un’azienda si apre in due giorni), cioè 91,7. Il punteggio complessivo da 63,4 sarebbe salito a 65,16. Saremmo passati dal 60esimo posto al 51esimo.


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Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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