IL BLOG DI SERGIO VIVI



domenica 21 gennaio 2007

La legge elettorale

E’ vero. Le proposte di nuove leggi elettorali si sprecano e, come dice l’amico Tomaso Freddi, spesso non rispondono a criteri logici ed hanno scarse probabilità di successo.
Oggi, invece di vivere in uno stato democratico e razionale –come auspicava Baruch Spinoza- «dove gli individui cedono i loro diritti non per diventare sudditi di qualcuno ma per continuare ad essere uguali a tutti gli altri … e non in modo (tale) da precludersi la facoltà di prendere nuove decisioni», molti italiani hanno l’impressione di vivere nello stato dispotico-autoritario di Hobbes dove «i singoli uscivano dallo stato di natura con la rinuncia assoluta ai loro precedenti diritti, trasferendoli completamente al sovrano, impersonato da un individuo o da un gruppo di individui» (Franco Restaino, Storia della filosofia, Utet, Vol 3/1, pag 393 e 201). Attualmente i partiti, nelle persone di Prodi, Fassino, Rutelli ma anche di Berlusconi, Fini, Casini, sono il nuovo Leviatano che ci opprime con tasse troppo alte e una moltitudine di divieti.

Se fossi investito, per un’ora, di quei poteri dittatoriali che alcune settimane fa Eugenio Scalfari chiedeva fossero attribuiti a Prodi, n’approfitterei per promulgare la seguente legge costituzionale di riforma elettorale e di governo.

UNO. Sono eleggibili e possono candidarsi alla Camera dei Deputati tutti i cittadini che hanno diritto di voto. Per candidarsi basta registrarsi –nel comune di residenza, magari via internet- nell'apposito elenco. Non occorre raccogliere firme ma, in compenso, versare a fondo perduto una tassa pari a 1/24 del proprio reddito personale complessivo annuo denunciato con l’ultima dichiarazione dei redditi. Sarà comunque fissato un tetto massimo per gli alti redditi ed uno minimo per chi è nullatenente.

In questo modo non ci sono problemi di quote rosa. La tassa serve per ridurre le candidature velleitarie. Chi guadagna poco, può sempre fare una colletta fra amici ed estimatori. Al limite quell’anno rinuncia alle ferie.

DUE. Il collegio elettorale è unico e nazionale. A ciascun candidato è assegnato un numero. La scheda elettorale contiene due rettangoli di nove caselle ciascuno. L’elettore può esprimere fino a due preferenze, anche appartenenti a partiti diversi, scrivendo il numero del candidato iniziando da sinistra e barrando la prima casella rimasta libera con il cancelletto per evitare brogli.

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Gli elettori sono circa 43 milioni, perciò serve un massimo di otto cifre più il cancelletto (si usa già sugli assegni, ma può essere anche un altro segno ad esempio la X).
I partiti continueranno a compilare le liste dei loro candidati che possono essere lunghe fin che si vuole, senza bisogno di escludere nessuno. Solo che invece di avere delle liste bloccate tutti i candidati avranno sulla scheda la stessa invisibilità. Spetta ai partiti ed ai candidati farsi propaganda. Si potranno studiare modalità di assegnazione del numero per riservare, ad esempio, i primi numeri ai candidati dei partiti presenti in parlamento.

TRE. Saranno eletti i 630 candidati che avranno ottenuto più voti. La legge d’attuazione specificherà chi eleggere in caso di parità per l’attribuzione dell’ultimo seggio.

Nel caso che al seicentotrentesimo posto ci fossero quattro candidati con ugual numero di voti, potrebbero essere eletti 633 deputati (tre più, tre meno cosa cambia?) In questo modo gli elettori torneranno ad avere la massima possibilità di scelta. Sono convinto che ci sarebbe, alla Camera, qualche deputato più qualificato e qualche burocrate in meno. Il Paese sarebbe rappresentato in modo proporzionale puro. Qualunque premio di maggioranza è una truffa.
E la governabilità, direte Voi? Vediamo.


QUATTRO. Entro cinque giorni dalla prima convocazione della Camera, devono essere costituiti i gruppi parlamentari. Il Presidente della Repubblica assegnerà l’incarico di formare il governo alla persona indicata dal gruppo più numeroso. I deputati appartenenti al gruppo maggioritario avranno ciascuno a disposizione, da quel momento, un voto P più pesante di uno, sia votino a favore sia contro.
Il peso P si calcola con la formula:
P * Sm = So + 20
P = (So + 20) / Sm dove
So è il numero di seggi dell’opposizione
Sm è il numero di seggi della maggioranza
20 (in numero di seggi) è il margine di sicurezza del premio

Il premio di maggioranza è cioè dato in peso invece che in numero. E’ democratico questo metodo? Credo sia più democratico stemperare il premio tra i 290 deputati della maggioranza che attribuire più poteri a un sol uomo (il presidente del consiglio). Si allontana il rischio del leviatano.
Ciascun partito –diversamente da adesso- potrà presentarsi per conto suo alle elezioni e misurare esattamente il suo peso elettorale, ma sarà costretto “ad unirsi” ad altri alla Camera se vorrà governare. Quanti gruppi parlamentari si formerebbero? Potrebbe essere la strada per arrivare a un bipartitismo. Per finire, nessuno dei grossi partiti dovrà più dissanguarsi per garantire collegi sicuri ai piccoli partiti della propria coalizione.

Esempio di calcolo di P. Supposta la costituzione di tre gruppi parlamentari rispettivamente di 290, 285, 55 componenti, vale la formula:
P * 290 =340 + 20 da cui
P = 360 / 290 = 1,241 da arrotondare a 1,24.
I rapporti di forza in voti saranno (290 * 1,24) = 359,6 per la maggioranza contro 340 per la minoranza. E’ come se il gruppo di maggioranza avesse avuto un premio in seggi di 69,6 (290 * 0,24)

P.S.Secondo me, assieme alle Province, andrebbe abolito anche il Senato.


1 commento:

Anonimo ha detto...

5 commenti recuperati:

Anonimo ha detto...
Grazie per l'attenzione. Concordo con quasi tutti i punti che proponi. Quelli che mi piacerebbe ancora approfondire con te sono;
il collegio unico nazionale. Non teniamo conto della territorialità? Al limite potrebbe capitare che la maggioranza dei deputati sono ad esmpio del sud.
quale il ruolo dei partiti? Quali chances avrebbe un candidato solitario e indipendente dai partiti? Penso a quelle che avrei io se mi presentassi candidato.
sulla governabilità, io penso che occorrerebbe finalmente distinguere il potere legislativo dal potere esecutivo. Poichè entrambi appartengono al popolo, non si vede perchè il governo debba essere eletto dal Parlamento. Secondo me dovrebbe essere eletto direttamente dal popolo. In fin dei conti si tratta di un'attività amministrativa come quella di in sindaco del Comune. La conciliazione tra leggi ed applicazione delle leggi non credo sia un problema insormontabile.
Ti saluto e ti ringrazio per la risposta, Tomaso.
29 gennaio, 2007 11:34

Sergio Vivi ha detto...
Territorialità. Io spero che si realizzi il federalismo (per me comunale e metropolitano), con un’applicazione corretta del principio di sussidiarietà. Cioè come prescritto dall’art. 118 della Costituzione, dal diritto comunitario europeo e, perché no, come formulato nell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI nel 1931 (vedi sussidiarietà in Wikipedia).

Tu mi dirai, però, che anche le elezioni del parlamento europeo sono organizzate per circoscrizioni.

Beh! Io, come elettore, visto che il parlamento è “nazionale”, desidero scegliere fra tutti i candidati.

Abbiamo l’esperienza delle passate elezioni: nella mia circoscrizione non c’era nessun candidato che mi interessasse o di cui mi potessi fidare. Avessi voluto scegliere, ad esempio, Della Vedova o Amato o Tabacci non avrei potuto farlo. Solo Berlusconi e Prodi/Fassino erano in tutte le circoscrizioni.

Inoltre, per l’elezione del sindaco e del presidente di regione c’è un collegio unico e ci sarebbe un collegio unico per il capo del governo. Perché per i deputati no?

Che i candidati siano tutti di una regione è possibile, ma improbabile: l’entropia non perdona.

Inoltre un popolo più campanilistico di quello italiano non c’è (a proposito, hai visto che il Sassuolo è in testa alla classifica di C1).

Ruolo dei partiti. Rimangono gli attori principali in campo. Promuoveranno le loro liste di candidati, scriveranno i loro bravi programmi nelle fabbriche dimesse, faranno le loro proposte per il cambiamento e la crescita (sviluppo è ormai un termine desueto, anche se è sostenibile). Si accorderanno, in cinque giorni, per costituire i gruppi parlamentari.

Non avranno più bisogno di fare brogli nella raccolta delle firme, ma riusciranno più difficilmente, con due soli voti di preferenza, ad organizzare le cordate di quattro o cinque nomi per eleggere i candidati “giusti”, per giunta in campo nazionale.

Chance di un cavaliere solitario. Questa è una bella domanda. Penso le stesse dei privatisti che si presentano all’esame di stato in una scuola pubblica. A parte, comunque, i soliti noti, ha le stesse probabilità delle decine di migliaia di candidati proposti dai partiti, che solo in parte diventano peones. Ma a te interesserebbe fare il peones?

E’ chiaro che bisogna farsi conoscere, procurarsi visibilità. E’ importante la televisione, ma c’è anche internet: Beppe Grillo sarebbe sicuramente eletto. La dispersione del voto sarebbe talmente grande, che anche una persona qualificata e nota a livello locale potrebbe farcela. (Tu avresti certamente uno dei miei due voti).

Governabilità. Sono d’accordo con te (anche se non mi piacciono i troppi poteri che hanno, ad esempio, Formigoni e Cofferati).

Ho parlato di governabilità soltanto per dimostrare come una legge elettorale la possa garantire, o meglio, come si possa dare un premio di maggioranza senza falsare il responso elettorale. La forma della governabilità è un altro discorso.

Quanto sopra non esaurisce l’argomento: occorrerà parlarne ancora.

Ciao, Sergio
29 gennaio, 2007 19:12

Anonimo ha detto...
Sul punto della territorialità, posso convenire con le tue argomentazioni. Sono tutto sommato convincenti.
I partiti devono essere liberi di agire e di organizzarsi come meglio credono, ma non devono avere alcuna funzione istituzionale, lasciando i parlamentari liberi di votare le leggi secondo scienza e coscienza. Già la formazione dei gruppi parlamentari rappresenta una costrizione a favore dei partiti. Se rimane, non deve svantaggiare chi decide di rimanerne fuori.
Grazie per la fiducia che mi dai con uno dei due voti. Devo convenire che il cavaliere solitario deve fare la sua gara.
Sulla governabilità è necessario chiarire cosa si intende per potere esecutivo. Oggi nel 98% dei casi le leggi votate in parlamento sono su proposta governativa. Questo è assurdo. Le proposte di legge (poche e di ordine generale: i 1364 commi della finanziaria sono per il 98% provvedimenti amministrativi) devono essere originate dai parlamentari e il governo le deve solo applicare, come fa il sindaco di un comune. Ma cosa succede se il governo va oltre i suoi poteri? La Corte Costituzionale è lì per questo. Cosa succede se il Governo non è d'accordo sulle leggi votate dal Parlamento? Dà le dimissioni. Queste coinvolgono anche lo scioglimento del Parlamento e si rivota sia per l'uno che per l'altro.
Sarebbe interessante parlarne di più. Proponiamo l'argomento a Cevolani? Ciao, T.Freddi.
29 gennaio, 2007 22:06

Sergio Vivi ha detto...
Sui partiti hai ragione.

Al punto QUATTRO, invece di scrivere «Entro cinque giorni dalla prima convocazione della Camera, devono essere costituiti i gruppi parlamentari», avrei dovuto scrivere «Entro cinque giorni dalla prima convocazione della Camera, i deputati eletti si associano liberamente tra loro, dando vita ai gruppi parlamentari».

Sappiamo, però, che dietro agli eletti continuano ad esserci i partiti, cui l’art. 49 della costituzione riconosce il diritto di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Ritengo lecito che ogni partito, avendo promosso l’elezione di suoi aderenti –senza poter impedire ad altri aderenti la possibilità di candidarsi- faccia pressione perché almeno i primi aderiscano ad un gruppo piuttosto che ad un altro. La differenza sta nel fatto che gli elettori iscritti o simpatizzanti di un partito possono scegliere tra “candidati ufficiali” ed “autocandidati”. Mi sembra che “la presa” del partito sui deputati sia così indebolita, stante il fatto che i candidati non ufficiali –e così anche i cavalieri solitari- saranno più liberi di aderire al gruppo a loro più affine. Mi aspetto che ci sia un gruppo di indipendenti. Si creeranno comunque situazioni nuove e non prevedibili. Molto dipenderà da che tipo di governo auspicano questi deputati sciolti. Bisogna essere realisti: le carte più alte continueranno ad averle in mano i gruppi che hanno alle spalle le forze politiche più forti. E la sete di potere favorirà la polarizzazione attorno a due gruppi principali. O la democrazia rappresentativa (tramite i partiti) o la democrazia diretta, cosa questa maledettamente complicata.

«Oggi nel 98% dei casi le leggi votate in parlamento sono su proposta governativa».

Sono d’accordo. Riporto quanto scrissi sul mio sito nel 2000 in “Forma di governo”:

«Come sappiamo la democrazia -come fu realizzata in Atene- comprende due momenti: il momento della pubblica discussione di un problema cioè della "deliberazione" e quello dell'approvazione della legge cioè della "decisione".
Nella democrazia rappresentativa questi due momenti si svolgono formalmente nel Parlamento. Di fatto la formulazione di un disegno di legge avviene all'interno di specifiche commissioni ristrette o addirittura all'interno di comitati di esperti che non sono rappresentanti del popolo ma consulenti scelti dal Capo del governo o dai singoli Ministri: la deliberazione è sempre più spesso sottratta al Parlamento a cui resta soltanto il momento della decisione».

Ciao, alla prossima. Ma non farmi lavorare troppo.
29 gennaio, 2007 23:08

Anonimo ha detto...
Mi sembra che ragionando insieme siamo arrivati ad una sostanziale condivisione degli argomenti trattati, a dimostraziione del fatto che quando si ragiona con obiettività e non ci si lascia prendere da pregiudizi si costruisce sempre qualcosa di buono. Ciao e arrivederci. Tieni presente che il tuo difetto, che è poi una qualità perchè permette di pensare di più, è sempre stato quello di far poco.
Tomaso
30 gennaio, 2007 11:58

 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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