IL BLOG DI SERGIO VIVI



venerdì 28 maggio 2010

La finanziaria 2011-2012 e i rimborsi ai partiti

Abbiamo letto che tra i provvedimenti della finanziaria, intesa ad affrontare la crisi in atto, ci sarebbe il dimezzamento dei contributi ai partiti da UNO a MEZZO euro per elettore.
Abbiamo messo il condizionale perché non c’è ancora nulla di preciso: si potrebbe partire da subito, oppure dalla prossima legislatura (o forse mai).
Comunque sia, tra le misure previste, questa è senz’altro la più cattiva, la più controproducente e la più demagogica.
Nel
post precedente, abbiamo visto la differenza tra i rimborsi delle spese elettorali in Inghilterra ed in Italia. La nostra legge consente ai partiti italiani di incassare, ogni legislatura, quasi dieci volte di più dei partiti inglesi (d’opposizione).
Mauro Agostini, ex tesoriere veltroniano del PD,
ha calcolato, in modo minuzioso, che dal 2004 al 2008 sono entrati nelle tasche dei partiti italiani 941 milioni 446.091 euro e 14 centesimi.
Se consideriamo che questa cifra è circa quella che incassa tutti gli anni la CEI con l’otto per mille, e che per una banale “primaria” l’elettore deve sborsare almeno quattro euro, possiamo affermare che i partiti non godono, poi, di particolari favori.

I partiti italiani, associazioni di fatto non regolate dalla legge –a parte che hanno dei nomi fantastici che tutto il mondo c’invidia- ricoprono, ad ogni modo, un ruolo importante. Nella breve storia della Repubblica hanno conseguito grandi meriti. Il principale è di avere creato un Welfare strepitoso che ci ha permesso di vivere, per anni ed anni, al disopra delle nostre possibilità. Gli italiani, ingrati, invece di condurre una vita sobria, ne hanno approfittato per accumulare ricchezza e risparmi senza investirli, però, per lo sviluppo.

Nell’immediato, tra i compiti che i partiti hanno, quello più immane è: vincere l’astensionismo per salvare la democrazia. Alle politiche del 2008 ha votato l’80,51% degli aventi diritto, alle regionali del 2010 l’affluenza ha oscillato tra il 61% di molte regioni ed il 68% dell’Emilia Romagna. Un calo notevole.
La disaffezione per la politica sta dilagando. Occorre molta propaganda per convincere gli elettori a recarsi alle urne. Se mancheranno i soldi come farà il PDL a far capire alla gente il suo “Credo Laico” ed a strappare elettori al centrosinistra? Ma soprattutto come farà il PD a far capire il suo “Progetto per l’alternativa” ed a strappare elettori al centrodestra?
Abbiamo la legge più evoluta e moderna d’Europa in fatto di rimborsi elettorali.
Per favore, non facciamo passi indietro. Giusto combattere la mafia, la camorra, l’andrangheta e prendersela con la casta, la cricca, gli evasori, gli scudati, i falsi invalidi, i pomodori cinesi, ma non macelliamo i partiti. Col pretesto che dovremmo diminuire le tasse.

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Angelo Bagnasco, aprendo qualche giorno fa l’Assemblea generale della Cei, ha esortato l’Italia ad un impegno bipartisan per affrontare il nuovo giro di vite imposto dall’acuirsi della crisi economica. Secondo Bagnasco serve «un responsabile coinvolgimento di tutti nell’opera che si presenta sempre più ardua».
Chissà se, illuminati dall’Alto, gli eminentissimi concittadini vorranno trasformare l’impegno in “tripartisan” e lasciarsi coinvolgere. Fino ad accontentarsi, invece che dell’otto, di un cinque per mille per almeno i prossimi due anni. Non solo per l’Italia, ma anche in segno di riconoscenza verso colui che ha concepito una legge tanto “equa” quanto geniale.

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Bene. Adesso vado a giocare un euro al superenalotto. Non si sa mai. Sappiamo statisticamente che la Fortuna ogni tanto una parola la dice. D’accordo –dovesse capitare- non ti salva l’anima ma ti aiuta ed è sempre meglio di una finanziaria di duri sacrifici, fosse pure fatta per salvare la monetina da un centesimo di euro, visto che le banconote da 200 e da 500 rischiano di essere messe fuori gioco dalla “tracciabilità”.
Tenendo conto che, oggi, si vorrebbe limitare i pagamenti in contanti a 100 euro, è sconcertante constatare come la mirabile trama dell’euro (otto tagli di monete e sei di banconote) sia già in crisi dopo soli otto anni di funzionamento.


martedì 25 maggio 2010

Le elezioni inglesi viste dall'Italia

Alcune notizie sulle elezioni generali del 2010 nel Regno Unito e qualche confronto con l’Italia.

I PARTITI
In Inghilterra ci sono due grandi partiti: i Conservatori ed i Laburisti.
C’è, però, un terzo incomodo: i Liberali Democratici.
Ci sono, poi, i partiti “nazionali” delle tre nazioni (Scotland, Wales e North Ireland) che, assieme all’England, costituiscono l’United Kingdom.

In Scozia, lo Scottish National Party o SNP rivendica l'indipendenza della Scozia dal Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord. La sua politica economica si basa sui valori della socialdemocrazia europea. E’ favorevole all’adozione dell’euro. Il partito nazionale scozzese, ai nostri giorni è riconosciuto come forza politica di centrosinistra. 6 seggi nel 2010 sui 59 della Scozia.

Nel Galles, il Plaid Cymru (The Party of Wales, in inglese, spesso chiamato semplicemente Plaid) si rifà alla tradizione della lingua Cymraeg. E’ un partito politico di centro-sinistra che sostiene la costituzione di un Galles indipendente all'interno dell'Unione europea. 3 seggi sui 40 del Galles.

Nell’Irlanda del Nord,
il Democratic Unionist Party, DUP è il più grande dei due principali partiti politici unionisti in Irlanda del Nord. E’ un partito protestante e rappresenta la corrente unionista (conservatrice) che vuole continuare a restare unita col Regno Unito. 8 seggi.
L’altro è l’Ulster Unionist Party, UUP più moderato. Nessun seggio.
Il Sinn Féin (letteralmente noi stessi in lingua irlandese, ma spesso reso in inglese come ourselves alone o noi altri soli in italiano) è il nome del movimento indipendentista irlandese fondato nel 1905 da Arthur Griffith; è un partito repubblicano. Nell'Irlanda del Nord è dal 2005 il più forte partito fra i cittadini cattolici e per questo viene sovente indicato, in modo errato, come il partito cattolico nord-irlandese. I suoi eletti si rifiutano di entrare a Westminster per non dovere prestare giuramento. 5 seggi.
Il Social Democratic and Labour Party, SDLP
Il SDLP ha per molti anni dominato la scena politica nazionalista, fin quando non si è vista togliere il trono dallo Sinn Fèin. Oggi, cerca di galleggiare proprio opponendosi alla prorompente leadership di Adams & Co. Continuano a professare il desiderio di un’Irlanda unita, tramite mezzi pacifici. 3 seggi.
The Alliance Party of Northern Ireland, APNI, è un partito liberale e non settario, attualmente su posizioni neutrali rispetto al movimento unionista. 1 seggio.

Complessivamente questi 5 partiti più l’indipendente Sylvia Hermon (già dell’UPP) si sono aggiudicati i seggi di tutti i 18 collegi dell’Irlanda del Nord: 8 agli unionisti, 8 agli indipendentisti, 2 neutrali.

Ci sono, infine, una miriade di partiti minori e locali “registrati” (come gli altri già nominati) obbligatoriamente presso l’Electoral Commission, organo indipendente dal Governo e responsabile nei confronti della Camera dei Comuni, dotata d’importanti poteri di monitoraggio, controllo e consulenza per tutto ciò che concerne l’attività finanziaria delle organizzazioni partitiche oltre che in materia elettorale.

Ci hanno sempre raccontato che l’Inghilterra era un paese felice perché c’era un sistema bipartitico.
Poi si scopre che c’è, come in Italia, una miriade di partiti, grandi e piccoli, da fare invidia ai nostalgici del nostro “mattarellum”. Qualche volta, com’è accaduto quest’anno, capita che nessun partito ottiene la maggioranza per governare da solo.

IL SISTEMA ELETTORALE
L’Inghilterra è suddivisa in 533 constituencies (collegi elettorali), la Scozia in 59, il Galles in 40 e l’Irlanda del Nord in 18, per un totale di 650 seggi (maggioranza 626 seggi).
I parlamentari britannici sono eletti attraverso il sistema del first past the post ovvero l'uninominale maggioritario secco. Sebbene i collegi possano variare di molto come superficie, si cerca di mantenere, approssimativamente lo stesso numero medio d’elettori.
Dalla tabella dei risultati, essendo 29.653.638 i voti validi espressi, pari ad una percentuale del 65,1%, risulta che gli aventi diritto sono circa 45.550.000, e il numero medio per collegio è stato di 70.077 votanti.

In Italia (quando la crisi economica lascia spazio) si sente parlare di una possibile riforma elettorale. Una delle proposte più gettonate è proprio quella del sistema inglese a collegi uninominali a turno unico, che –si raccomanda- devono essere, però, i meno estesi possibili. Magari qualche sostenitore di questo sistema aggiunge anche che occorre ridurre il numero dei parlamentari e non vede la contraddizione.
Alle ultime elezioni politiche italiane del 13 aprile 2008, gli aventi diritto al voto, per la Camera, furono 47.041.814 (esclusa la Valle d’Aosta). I votanti furono 37.874.569 pari al 80,51%.
Se si tenesse il numero medio d’elettori per collegio di 70.000 (come in Inghilterra), dovremmo avere un numero di deputati pari a 670. Soltanto con 100.000, numero considerato troppo alto, si ridurrebbero a 470.

LA TABELLA RIASSUNTIVA DEI RISULTATI

Come si ricava da questa tabella di wikipedia, hanno presentato candidati ed hanno ottenuto voti QUARANTATRE partiti, più molti dei candidati presentatesi come indipendenti.
Hanno ottenuto seggi DIECI partiti, lo Speaker uscente ed UNO degli indipendenti.

L’Alliance Party ha vinto un seggio con Naomi Long in Belfast East, battendo Peter Robinson, leader del DUP e Primo Ministro dell’Irlanda del Nord. Non accadeva dal 1973 quando vinse Stratton Mills.

Per la prima volta hanno ottenuto un seggio i verdi: la leader del Green Party, Carolin Lucas ha vinto quello di Brighton Pavilion.

I CANDIDATI INDIPENDENTI
In Inghilterra, chiunque può presentarsi come indipendente senza troppe difficoltà: sono sufficienti le firme di DIECI votanti del collegio ed un deposito di 500 £ che viene restituito soltanto se si raggiunge il 5% dei voti.
Lo speaker uscente John Bercow, che all’atto della sua elezione dovette lasciare il partito conservatore, è stato rieletto come indipendente nel collegio di Birmingham, dove secondo la consuetudine non hanno presentato candidati né il Labour, né i LibDem.

L’indipendente Lady Sylvia Hermon, già rappresentante in Parlamento dell’UUP e uscita dal partito perché in disaccordo sull’alleanza tra UPP e Conservatori (Ulster Conservatives & Unionist – New Force), si è aggiudicata col 63,26% dei voti il seggio di Down North. Come conseguenza, l’UUP è rimasto senza rappresentanza per la prima volta dalla fondazione del partito.

L’indipendente Rodney Condor, invece, è stato battuto da Michelle Gildernew del Sinn Fein nel collegio di Fermanagh & South Tyrone per soli 4 voti (21300 contro 21304, dopo il terzo conteggio).

Secondo il mio parere, una legge elettorale democratica dovrebbe permettere a tutti i cittadini la massima facilità di candidarsi, anche come indipendente. In Italia questa possibilità non c’è. E’ concesso soltanto di presentarsi come “indipendente” all’interno di una lista di partito.
Eppure
il metodo ci sarebbe.
Da noi, d’altra parte, non si contano gli imbrogli sulla raccolta delle firme (che sono troppe) e si sorvola sui diversi obblighi dei partiti: in genere, i piccoli ed i nuovi sono messi di fronte a complicazioni dalle quali i grandi partiti sono esentati.


IL FINANZIAMENTO DEI PARTITI
Nel REGNO UNITO il rimborso dei costi elettorali ai partiti è regolato da risoluzioni particolari denominate
Short Money (per la Camera dei Comuni) e Cranborne Money (per la Camera dei Lords).
Sono erogate ai partiti d’opposizione e prevedono anche uno stipendio per il Leader ed il Chief Whip (una sorta di capogruppo) dell’opposizione e per i suoi assistenti.
Una parte del rimborso è variabile e proporzionale ai voti ottenuti perciò, minore è il numero dei voti validi, minore è il rimborso.
Nel 2009-2010 la spesa totale complessiva è stata di 7.815.793 £ (Short Money 6.945.905, Sinn Fein 96.822, Cranborne Money 773.066). Circa 10.000.000 di euro.

In ITALIA, attualmente, il finanziamento pubblico è regolato dalla Legge 157/1999.
L’Art.1 attribuisce ai partiti un rimborso delle spese elettorali diviso in quattro fondi: Senato, Camera dei deputati, Parlamento europeo e Consigli regionali (comma 1).
L'ammontare di ciascuno dei quattro fondi è pari (per l’intera legislatura) alla somma risultante dalla moltiplicazione dell'importo di lire 4.000 per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati (comma 5).
Essendo di 47.000.000 il numero degli elettori (politiche 2008), per Camera e Senato si ottiene (moltiplicando per 8.000) 376.000.000.000 di vecchie lire pari a 194.187.790 euro (per l’intera legislatura).

La normativa è stata modificata dalla Legge 156/2002.
L’Art.2 trasforma in annuale il fondo: dopo le parole “è pari” sono inserite le seguenti: «, per ciascun anno di legislatura degli organi stessi, » e le parole: «lire 4.000» sono sostituite dalle seguenti: «euro 1,00» (comma 1).
Cioè, sempre per Camera e Senato, 47.000.000 moltiplicato 2 fa 94.000.000 euro l’anno (470.000.000 di euro per l’intera legislatura).
Inoltre, il fondo per il rimborso delle spese elettorali è ripartito tra i partiti e i movimenti che abbiano superato la soglia dell’1 per cento (in precedenza era necessario il 4%) dei voti validamente espressi in ambito nazionale (comma 2).

Infine, con la legge del febbraio 2006 n° 51 che convertiva, modificandolo, il Decreto-legge 30 dicembre 2005, n.273 si è raggiunto il colmo. Con poche parole inserite, con accordo bipartisan, nel decreto “milleproroghe” (un calderone nel quale è facile “nascondere” ogni “nefandezza”). viene garantita l’erogazione del rimborso elettorale per il resto della legislatura anche in caso di scioglimento delle Camere”.
Con la crisi politica italiana del 2008, i partiti cominciano a percepire il doppio dei fondi, giacché ricevono contemporaneamente le quote annuali relative alla XV (sebbene interrotta dopo due anni) e alla XVI Legislatura.
Ma vi è di più: tale modifica legislativa, in caso d’ulteriore interruzione della nuova legislatura 2008-2012, permetterebbe addirittura la triplicazione delle prebende.
Un bel conflitto d’interessi: mentre ai parlamentari in carica l’interruzione della legislatura non conviene, per i tesorieri dei partiti sarebbe una bazza.


giovedì 13 maggio 2010

Il caso Guazzaloca

Bologna continua ad essere un laboratorio della politica italiana (che non finisce mai di stupire; è di oggi la notizia di una possibile candidatura d’Adriano Celentano a sindaco di Milano).
Nel PD che, dopo il caso Delbono, si ritrova senza nessun esponente valido da candidare a sindaco, se ne pensano di tutti i colori. Ieri, Duccio Campagnoli, ex sindacalista CGIL ed ex assessore regionale alle Attività produttive apre all’alleanza con Giorgio Guazzaloca, già primo sindaco non comunista della città, e candidato alle comunali in competizione con Delbono e Cazzola lo scorso anno (sostenuto dalla lista civica “La tua Bologna” e dall’UDC). E invita l’ex primo cittadino a partecipare alle primarie di coalizione.

Acque agitate nel Pd. Maurizio Cevenini, l’uomo più popolare nel PD bolognese, anch’esso aspirante alla candidatura, così commenta: «C’è troppa confusione sotto il sole. Così sembriamo disperati…. Guazzaloca? Io lo stimo. Ma il PD non può arrivare a pensare di mandare alle primarie uno che l’anno scorso si è candidato contro di noi. Lui voleva farci perdere, ci rendiamo conto?… Consentire a Guazzaloca di candidarsi alle primarie sarebbe l’abdicazione del PD».
Silenzio di Guazzaloca che, per ora, si gusta la soddisfazione di essere ricercato come, fino a poco tempo, fa capitava a Romano Prodi.

La proposta s’inserisce nella ricerca di un’alleanza con l’UDC. Occorre però tenere conto che, non ostante lo stretto rapporto che intercorre tra Guazzaloca e Casini, il primo non è semplicemente l’UDC bolognese (accreditata di non più del 3,5%) ma un candidato civico capace di raccogliere almeno un 12% di voti. Soprattutto non è uno yes man ma ha sempre dimostrato grand’autonomia.
Tutto è possibile, meno che Guazzaloca possa acconsentire a partecipare a delle primarie di coalizione, rito al quale sarebbero estranei anche i suoi elettori. La cosa potrebbe andare in porto solo alle condizioni dell’ex primo cittadino.


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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